Commento

Se la mamma è iperprotettiva suo figlio è a rischio panico

Più ansie tra i nativi digitali. Sono di continuo in vetrina tra 'like' che creano gratificazione e frustrazione. Hanno genitori che seminano più paure

(foto Ti-Press)
5 maggio 2018
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Chi ci è passato lo sa. Quando l’attacco di panico entra nella tua vita crea una frattura tra quello che eri prima e quello che sei dopo. È un momento di rottura violento e drammatico, scoppia come un vulcano. Può essere un fuoco distruttore che ti annichilisce oppure l’esatto contrario, un fuoco che ti rigenera stimolando una rinascita. Qui molto dipende da quali aiuti si trovano e anche dal carattere, dalle risorse personali e da chi ti sta accanto. Alcuni ci convivono, altri ne subiscono la tirannia fino a non uscire più di casa, altri passano all’attacco. Romeo Bressi, 38 anni, manager informatico luganese, ci racconta come il panico lo abbia obbligato ad iniziare un viaggio dentro se stesso. Ha capito come la tensione si accumulava settimana dopo settimana fino ad esplodere in un attacco, che poteva anche prendere il binario della fobia. La paura della paura è ancora peggio e riduce molte persone ad una semischiavitù. C’è chi non esce più di casa. Romeo ci è passato, prima faceva 40 voli l’anno ed era ‘multitasking’. Oggi ha imparato a dire di no, fa una cosa alla volta e ha ritrovato il suo equilibrio e un ritmo salutare. Eppure, svolgere più azioni contemporaneamente, ad un ritmo frenetico, è trendy e quasi un dogma nel terzo millennio. Nativi digitali e giovani adulti studiano tra un messaggio su Whats­App e l’altro, un like su Facebook, un selfie per gli amici e un intermezzo di shopping online. Ma siamo certi che questa elasticità esaltata all’ennesima potenza sia salutare? Non sembra proprio. Un ticinese su tre conosce o ha conosciuto questo terrore paralizzante e chi vive in città ha più chance di soffrirne, perché manca lo spazio personale (nei palazzi, sui bus…) e c’è più competizione sociale: tutti elementi che aumentano lo stress e riducono la capacità di gestire l’ansia. Tanti adulti non dormono senza sonniferi e/o ansiolitici: in Ticino c’è un consumo allarmante di benzodiazepine, il doppio rispetto a Zurigo e Berna, come ha dimostrato un’indagine svolta negli ospedali pubblici della Svizzera italiana. Sfuggono alle statistiche i tanti ‘fai da te’, come chi si fa una canna contro l’ansia. Ma la vera novità è che sul lettino dello psicoterapeuta ci finiscono sempre più preadolescenti. Ragazzini di 11 o 12 anni che già soffrono di ansia e hanno assaggiato il sapore amaro del panico. Un male tanto diffuso quanto sottostimato, che attraversa la nostra società creando molta sofferenza. Di studi non ce ne sono ancora, ma gli esperti parlano di un mix esplosivo tra ‘social’ e genitori iperansiosi in una società ossessionata dal controllo. Nei social, i giovanissimi sperimentano attraverso i ‘like’ – che creano approvazione o disapprovazione – una continua competizione, gratificazione o frustrazione, che possono influenzare il loro equilibrio. Oltre a questa esposizione continua al giudizio altrui, si respira un nuovo clima in famiglia. Mamme o papà che investono tutto o quasi sul loro unico figlio e che rischiano di diventare iperprotettivi. ‘Fai attenzione a questo, fai attenzione a quello…’. I messaggi che passano sono due : ‘Sei debole e il mondo fuori è pericoloso’. Se il figlio impara a percepirsi come un essere fragile in un ambiente pericoloso è fregato. Ha probabilmente staccato il suo ticket per un viaggio futuro nel panico. Ma c’è anche una notizia positiva, uscirne è possibile, lavorando sui pensieri tossici che ci fanno ammalare, e trasformandoli in alleati.

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