Commento

Internamento a vita, se non ora quando?

Domani la sentenza sul massacro di Rupperswil. Sarà applicata la misura dell'internamento a vita a favore della sicurezza della comunità?

15 marzo 2018
|

Capire come funziona la psiche umana è esercizio arduo, che può rasentare l’impossibile. Sgomenti lo constatiamo ogni qual volta siamo confrontati con casi giudiziari da brivido. Quello del massacro di Rupperswil è uno di questi. Ancora una volta un uomo, capace di condurre una vita normale, si trasforma in feroce assassino. Anche in aula, come confermatoci martedì dall’avv. Borradori, il pluriassassino si è mostrato essere persona intelligente e apparentemente molto pacata. Apparentemente, appunto. Una pacatezza che stride con la descrizione dei suoi orrendi misfatti da lui dettagliatamente raccontati, che lo vedono alla sbarra per ripetuta estorsione, sequestri di persona, atti sessuali con fanciullo, ripetuta coazione sessuale, incendio intenzionale e possesso di materiale pornografico. E, mentre aveva da poco finito di compiere tali reati (ha sgozzato quattro persone!), stava già pianificando i prossimi. Al momento dell’arresto, dopo mesi d’inchiesta, pare stesse già pedinando un’altra famiglia.

Ora la domanda, dopo che nella nostra legislazione è stata introdotta la possibilità dell’internamento a vita, è: sarà la volta buona? Lo sapremo domani, con la prima sentenza. Ma probabilmente aspetteremo ancora anni, visto che ci saranno i tempi supplementari dei ricorsi.

La domanda del possibile (auspicato) internamento a vita emerge ogni volta che ci si trova di fronte a delitti efferati ad alto rischio di recidiva, che impongono di far pendere l’ago della bilancia a favore della sicurezza della comunità.

Diciamo che, pensando ai recenti casi giudiziari, la possibilità che si vada in quella direzione è purtroppo limitata. Per esempio il detenuto che aveva assassinato la socioterapeuta Adeline – mentre lo stava accompagnando in un’uscita – è stato condannato ‘solo’ all’ergastolo, perché non è stato dichiarato incurabile. Inoltre, recentemente, Losanna ha annullato l’internamento a vita per l’uomo agli arresti domiciliari per lo stupro e l’assassinio di Marie, perché sempre gli esperti psichiatrici hanno fornito analisi divergenti. Diverso sarebbe stato se avessero concluso entrambi per la necessità di un internamento a vita. Una sentenza, quest’ultima del Tf sul caso Marie, che ha ancora una volta riaperto il dibattito sull’applicabilità dell’articolo penale. Ma come? Sono state raccolte delle firme e si è adottata una legge, ma all’atto pratico, se in casi così efferati l’internamento rimane lettera morta, quando mai lo si potrà applicare? Molto probabilmente è la legge da cambiare, se si vuole dare la corsia preferenziale alla nostra sicurezza.

L’interrogativo è tornato alla ribalta anche nel caso di Rupperswill. Già prima dell’avvio del processo erano stati espressi dubbi sulla possibilità dell’internamento a vita, poiché a detta di un professore/giudice secondo la giurisprudenza (ossia le sentenze dei tribunali) la misura non sarebbe prevista per una persona incensurata. Allora che dobbiamo fare? Aspettare che l’assassino si ripresenti in aula dopo la prossima mattanza? Strano modo di ragionare! Comunque sia già sappiamo che, se vengono diagnosticati disturbi psichiatrici, bisogna (sempre a detta della legge) prima procedere con terapie. L’internamento a vita viene applicato solo come ultima ratio. Va bene: ma allora quando si concretizza ’sta benedetta ultima ratio, voluta per dare alla comunità il rischio (quasi) zero che uno psicopatico ‘bissi’? Molto probabilmente è stata fatta una legge di difficilissima applicazione che – rendiamocene conto – non risponde alle legittime aspettative dei cittadini che hanno sostenuto l’iniziativa popolare. Il prodotto finale, purtroppo, è una malsana delusione.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔