Commento

Quando l’asino non è l’allievo

Le famiglie affidano i loro figli alla scuola per essere istruiti, non umiliati. Purtroppo c'è ancora chi giustifica la violenza.

5 febbraio 2018
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Ricordo quando andavo alle Medie, erano sempre i soliti in classe ad essere presi di mira da un docente particolarmente collerico, quando esplodeva volevi solo scappare da quell’aula carica di aggressività, ma dovevi restare e sperare che non si scaricava su di te. Mi chiedo quanti docenti sentivano (soprattutto chi faceva lezione accanto), quanti docenti sapevano: perché nessuno reagiva?

Sono passati una trentina d’anni, la scuola ticinese ha fatto passi da gigante nel rispetto degli allievi, nelle tecniche per sostenerli nella loro preziosa unicità. Restano purtroppo alcune oasi di violenza. Come l’umiliazione riservata ad un’alunna delle Elementari di Mendrisio, la maestra le avrebbe legato le gambe per imporle una corretta postura. Il Comune sta accertando i fatti. Sul nostro giornale, lo scorso 24 gennaio, il sindaco Carlo Croci ha riferito di essersi scusato con la madre della bimba. Un gesto dovuto. Poi ha precisato: “Probabilmente la maestra era convinta di fare del bene: il suo voleva essere un gesto propedeutico”. Parole che troviamo davvero fuori luogo.

Le famiglie affidano i loro figli alla scuola per essere istruiti, non umiliati. La verità è che veniamo da una cultura della violenza e c’è ancora chi (purtroppo) la giustifica. Fino a due generazioni fa, il maltrattamento fisico era considerato un valido metodo educativo per un buon sviluppo del bambino. I minori, in alcune famiglie, sopravvivevano di aggressione in aggressione, obbligati a subire in silenzio in una società che difendeva solo gli adulti. Non parliamo del Medioevo, ma di qualche decennio fa.

Tanti bambini di allora sono gli adulti di oggi, alcuni portano ancora dentro il ricordo di quelle umiliazioni, come racconta la lettera pubblicata sabato sulla ‘Regione’, nella pagina del Mendrisiotto. Allora, c’era molta ignoranza, nessuno si chiedeva se quei metodi fossero giusti o sbagliati. Né la scuola, né gli alunni, né le famiglie. Se raccontavi a casa che il maestro si era arrabbiato, rischiavi una seconda lavata di capo. Oggi è diverso: grazie a test neurologici, sappiamo che il maltrattamento, anche verbale, se ripetuto, può causare un cattivo sviluppo del bambino e provocare anche alterazioni neurologiche nel cervello. Insulti ripetuti favoriscono problemi cognitivi. Sentirsi chiamare asino da un maestro non aiuta a sviluppare una buona immagine di sé stessi. L’autostima cala a picco. Anche il rendimento! Chi è allora l’asino?

Questa violenza ha conseguenze nefaste per l’intera società, perché chi è stato umiliato senza trovare un ascolto a casa (lo spieghiamo a pagina 2) può diventare un adulto, un padre, un sindaco, un allenatore, un maestro… incapace di provare empatia. Anche un asociale. Questo è quanto c’è in gioco quando si tollerano oasi di violenza nella scuola. Un pessimo esempio l’abbiamo con l’ex maestro (ed anche ex sindaco) delle Elementari di Montagnola che per anni ha maltrattato, indisturbato e coperto da molti, diversi alunni. Secondo testimonianze finite in polizia, sferrava colpi alla testa che lasciavano i bimbi senza fiato. Poi li minacciava: “Se parlate vi picchio di più”. Il processo accerterà la verità. Solo grazie ad alcune famiglie che hanno rotto un pesante clima di omertà, la verità è venuta a galla nel 2014. Il risultato? Sono passati più di tre anni, l’inchiesta va rifatta e si rischia la prescrizione. Chi si è sentito calpestato allora, oggi si sente preso in giro.

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