Commento

No Billag, no music

È bello, perché in questa trasmissione si parla di musica

20 gennaio 2018
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«È bello, perché in questa trasmissione si parla di musica. Non mi succede spesso nelle altre televisioni. E a me piace parlare di musica». Le parole sono quelle di Lorenzo. E uno, di Lorenzo, può dire quello che vuole. Passano gli anni, la sua poetica cresce e, nonostante l’evoluzione dell’homo jovanottis, il cantante resta più stonato di Neil Young. Cosa che è bella così, come De Niro che sceglie d’invecchiare senza lifting, o come la torre di Pisa, della quale va preservata l’imperfezione affinché non diventi un campanile qualsiasi.

“In questa trasmissione si parla di musica”, dice Jovanotti alla Rsi. Concetto tutt’altro che banale. Concetto drammatico.

La Rsi ha una lunga tradizione di musica dal vivo, che sta anche in una parte d’archivio reso pubblico – per stare alla canzone italiana – da una collana di pregevoli dvd che ritraggono il miglior Edoardo Bennato, un Pino Daniele giovane e ispirato, il Lucio Dalla di ‘Lucio Dalla’ (l’album), Mia Martini pre-resurrezione e altri classici (Vanoni, Vecchioni, Morandi, Guccini, Jannacci, Conte). Una tradizione non inferiore a quella della tv italiana, cui si deve la pietra miliare ‘Doc’, una sorta di Estival Jazz pomeridiano degli anni 80 condotto da Renzo Arbore dal quale sono transitati tutti, da Chet Baker a James Brown, da Miles Davis a Pat Metheny, compresi De Gregori, Fossati, Caputo, Buonocore e molti altri. Nel tardo-novanta, anche Mediaset poteva vantarsi di un salotto musicale di culto: il ‘Night Express’ aprì le porte dell’allora Propaganda (oggi Lime Light, anche ristorante) a Jackson Browne, Phil Collins, Bryan Adams, Pino Daniele, James Taylor e, anche qui, molti altri. Ore e ore di musica dal vivo in televisione, da registrare e stipare nel bunker antiatomico, in vista degli uragani anti-mainstream del minimalismo indie (un dogma di privazioni che nemmeno quello di Von Trier) e varie carestie culturali.

Se alla Rai, oggi, ci si deve accontentare di fugaci esibizioni live a ‘Che tempo che fa’, alla tv svizzera le Avo Sessions non mancano mai, così come l’Estival, fresco o riscaldato (comunque commestibile). E gli showcase serali di ReteTre, farciti dalle iperboli del Verga (inteso come conduttore e non come scrittore), sarebbero sempre degni di una diretta tv come quella di mercoledì scorso, dove si è detto di come nasce un disco, di cos’è un produttore artistico, della forma delle canzoni e di come un cantante non sia solo una bella voce.

Se esistesse l’Unesco della televisione, la musica alla Rsi sarebbe patrimonio dell’umanità. Di quella svizzera, almeno. Il rischio che dopo il 4 marzo, di musica, non si possa più parlarne come piace a Lorenzo (e come, più umilmente, piace a noi), un po’ ci angoscia. Ma non disperate, un posto nel bunker c’è ancora. Portate i dischi (finché c’è aria…).

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