Commento

Tifo violento, una voce non basta: serve un coro

Lo sport e la società civile non possono e non devono cedere davanti all’idiozia, all’arroganza e alla violenza di una minoranza di esaltati

16 gennaio 2018
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“Lo sport e la società civile non possono e non devono cedere davanti all’idiozia, all’arroganza e alla violenza di una minoranza di esaltati”. È la parte conclusiva del comunicato dall’Hcap in merito ai disordini scoppiati domenica alla Valascia. Una presa di posizione dura, che non lascia spazio a troppe interpretazioni: il club alza la voce e condanna senza mezzi termini la violenza di alcuni facinorosi. Una piccolissima parte della tifoseria, si dirà, ma pur sempre grande abbastanza per infischiarsene di questioni quali sicurezza e civiltà, e operare nello sprezzo delle regole e nell’illegalità, per lo più impunita. O non punita abbastanza da scoraggiare repliche e becere emulazioni.

Finalmente! Finalmente una reazione veemente da parte di una società sportiva che a chiare lettere si smarca da chi ne infanga il buon nome, mettendo a repentaglio l’incolumità di chi in pista va con l’intenzione di godersi uno spettacolo di sport, la stragrande maggioranza.

Bene fa, l’Ambrì, a condannare l’accaduto senza retorica, senza se e senza ma. A chiedere scusa a chi è stato coinvolto, assumendosi così la responsabilità (almeno parziale) dell’accaduto. Bene, anzi benissimo, fa, l’Ambrì, a scagliarsi anche contro parte della propria tifoseria, giudicata immatura, rea di essere “caduta nella trappola della provocazione (...), alla quale ha reagito ben oltre i limiti che il buon senso impone, prima ancora della legge”.

Niente alibi, quindi, ai propri tifosi, chiamati in causa tanto quanto i provocatori giunti da fuori. Non vittime, bensì complici – pochi, giusto ribadirlo – di fattacci gravi. Per soffocare i quali le parole di condanna, però, non bastano. Alla levata di scudi tipica delle ore immediatamente successive al danno, al clamore sollevato dall’intervento in forze della polizia e dall’uso di spray al pepe e di proiettili di gomma – nulla di ordinario, lasciatecelo dire, nemmeno per ambiti in cui altre volte la violenza si è palesata – ora devono seguire fatti concreti. Tutte le società hanno il dovere di segnalare e bandire quei tifosi che dovessero essere identificati come colpevoli in qualsivoglia rissa. Senza compromessi. Fuori, e basta, con tanto di invito alla giustizia penale a fare il proprio corso. Ma intanto, via, fuori dalla pista (o dallo stadio, estendendo il discorso al calcio).

Urgono misure drastiche, tese a escludere le mele marce dal cesto. Isolare e cacciare chi sgarra non significa fare un torto alla tifoseria. Al contrario, una manovra decisa e risolutrice farebbe un favore ai tifosi degni di tale definizione. I quali, ne siamo certi, sarebbero entusiasti all’idea di finalmente isolare l’esigua minoranza che ne mina la serenità, e ne insozza il nome. Sono pochi? D’accordo, allora si abbia il coraggio di farla pagare loro con un cartellino rosso definitivo. Una bella diffida. Decisione impopolare? E perché mai, se è vero come è vero che la stragrande maggioranza dei tifosi firmerebbe per uno stadio o una pista sicuri, in cui portare anche i bambini, senza che li si debba proteggere, portare via, o rassicurare a casa, una volta asciugate le loro lacrime.

Il precedente al quale appellarsi c’è: la diffida che Stefano Gilardi, allora presidente dell’Fc Locarno, mandò al gruppo di tifosi dei bianchi denominati ‘Cirrosi epathica’. Due anni lontano dal Lido. Passò come censore, ne sentì da benedire la luna, ma ottenne l’effetto di uno stadio meno “caldo”, ma complessivamente più sicuro. Non è solo coraggio, è soprattutto buon senso. L’Ambrì ne ha fatto prova. Ha alzato la voce, ma per spuntarla serve un coro all’unisono che urli ‘basta’. Tutti, lega compresa.

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