Commento

Quando le mafie bussano alla porta non bisogna aprire

(Tatiana Scolari)
30 dicembre 2017
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Facciamocene una ragione. Piaccia o no. La ’ndrangheta è arrivata anche da noi, in Ticino; anzi, direttamente sulla piazza chiassese. Non che non lo si sapesse già prima o per lo meno che non lo si sospettasse. Certo è che la sentenza pronunciata ieri dalla Corte del Tribunale penale federale, presieduta dal giudice Giuseppe Muschietti, ha messo un’altra pietra miliare sul cammino verso la nostra consapevolezza. E forse ce n’era pure bisogno.

Un verdetto di primo grado, quello consegnato alle cronache, che pesa, di sicuro sugli imputati – entrambi condannati –, ma che grava anche sulla stessa piazza finanziaria locale. Tanto più che i fatti si sono consumati giusto l’altro ieri, fra il 2012 e il 2014. Ovvero in un periodo in cui leggi e regole – soprattutto sul riciclaggio di denaro – erano ormai chiare e conclamate.

Eppure l’uomo di fiducia del clan è riuscito a passare il confine, a comprarsi casa (a Vacallo) e a staccare pure un permesso B – il permesso di dimora –, e con documenti di facciata, per lui e uno dei fratelli del boss. Eppure un professionista riconosciuto proprio da quella stessa piazza locale, a mente dei giudici si è prestato a fare da intermediario, mettendo in campo una strategia utile a piazzare e investire denaro riconducibile alla cosca, quindi al provento di narcotraffico e usura. E tutto ciò nonostante, come rimarcato dal presidente della Corte, avesse gli strumenti per starsene alla larga da quei personaggi che si era ritrovato un giorno del marzo 2012 in ufficio. Questa vicenda giudiziaria non si esaurirà qui: questo è molto probabile. L’ex fiduciario, che da sempre si professa innocente, c’è da credere che impugnerà il verdetto. Una volta di più, però, la giustizia sorretta da leggi e sentenze è riuscita a gettare una luce sulle ombre e a scrivere la sua verità. E lo ha fatto squarciando il velo dell’omertà e colpendo là dove fa più male, in particolare alle organizzazioni criminali come la ‘’ndrangheta: la ‘roba’, il denaro. Due regole d’oro di cui uomini di Stato morti, appena al di là del confine, proprio per essersi messi di traverso alle mafie hanno insegnato l’importanza.

Perché non è vero che i soldi non hanno odore. Quelli della criminalità organizzata puzzano, eccome. Bisogna stare all’erta e avvertirne il tanfo. Per tempo.

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