Commento

Un voto senza meriti

(GIUSEPPE LAMI)
29 dicembre 2017
|

L’epilogo della legislatura italiana chiusa ieri dal presidente Mattarella è stato tutto sommato coerente con il suo avvio. Nata nell’incertezza determinata da un risultato elettorale che non assegnava alcuna maggioranza a un partito o a una coalizione, la diciassettesima legislatura si esaurisce proiettando un identico disordine su quella che seguirà. Nell’uno e nell’altro caso anche a causa di una legge elettorale concepita per battere l’avversario piuttosto che per garantire rappresentazione equa alle diverse istanze presenti nel Paese, da un lato, e governabilità, dall’altro.

Aperta dalla buffonesca messinscena dello streaming imposto dai 5Stelle al Bersani incaricato di sondarne la (in)disponibilità a formare una maggioranza; si è chiusa con un atto di codardia del Pd, che si è dato alla fuga impedendo la votazione sullo “Ius soli”, legge di elementare civiltà, che accorderebbe, con moltissima cautela, la cittadinanza ai nati sul suolo italico.

C’è una certa coerenza anche in questo finale: il Pd dell’innocuo smacchiatore di giaguari Bersani non c’è più; ne restano un surrogato – legato mani e piedi a Matteo Renzi, vanesio dilapidatore dell’ingente capitale di consensi di cui lo stesso partito, nonostante tutto, godeva – e un indefinito blocco di “fuoriusciti”, di cui non si conosce un programma, ma è ben chiaro il risentimento nei confronti del Renzi medesimo.

Va da sé che un bilancio della legislatura riguarda soprattutto chi è stato al governo: le leggi riguardanti i diritti individuali come le unioni civili o il cosiddetto “fine vita”, e quelle più “sociali” dalla riforma del lavoro (jobs act, nella parlata di Renzi) alla “buona scuola”; una riforma costituzionale affossata, e una nuova, immancabile, legge elettorale. Ciascuno le collocherà tra le voci in attivo o quelle passive, a seconda del proprio orientamento; e chi ne capisce davvero potrà distinguere tra casualità e merito nel constatare il leggero miglioramento della situazione economica. A nessuno, in ogni caso, potrà sfuggire come la gestione politica di questo scenario sia stata catastrofica. Dall’imboscata tesa a Romano Prodi candidato Pd alla presidenza della Repubblica e fatto fuori da 101 franchi tiratori del suo stesso schieramento; al patto contro natura con Berlusconi; all’arroganza suprema di un Renzi che ha voluto trasformare in plebiscito su se stesso il referendum costituzionale, venendone travolto; al mesto vaudeville da Prima Repubblica di un governo che ha consumato i suoi giorni appoggiandosi al bastone infido del partitino di Alfano, che vale una cicca nel Paese, ma detiene un immenso potere di ricatto a Roma. Finendo tutto ciò per tradursi nel miglior argomento per la propaganda elettorale di un’opposizione che di suo non ha merito alcuno, disputandosi semmai il primato di oscenità politica tra i fascioleghisti à la Salvini-Meloni, un Berlusconi estratto dalla formalina (e tuttavia sempre lui: dal milione di posti di lavoro ai mille euro a chi ne ha bisogno), e il ‘fighettismo’ supponente, non si sa se più ignorante o opportunista, della costellazione grillina.

Poteva finire peggio? Sì, ma è una banale consolazione. Anzi, è sbagliata la domanda. Si poteva semmai evitare il peggio. A partire dalla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Pietro Grasso, che ancora investito della carica è andato in tv a mostrare il simbolo della lista elettorale costituita attorno alla propria persona. Ecco, se anche le brave persone confondono ruolo e propaganda, non c’è da stare allegri. Con tutto che essere una brava persona non è ancora un programma politico. Su che cosa verrà chiesto agli italiani di votare?

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔