Commento

Trump, la scienza e la democrazia

19 dicembre 2017
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È dai tempi di Galileo, se non addirittura da quelli di Euclide, che scienza e potere politico sono, se non proprio in conflitto, quantomeno in un rapporto complicato. La presidenza di Donald Trump sembra tuttavia aver raggiunto un nuovo livello: non la semplice opposizione, per svariati motivi, a determinati settori di ricerca – e qui potremmo citare, in ordine sparso, l’ingegneria genetica, l’energia nucleare, la sperimentazione animale e la cosiddetta medicina alternativa –, ma una generalizzata diffidenza verso la scienza e il metodo scientifico ai quali non viene riconosciuta nessuna autorevolezza.

Delle sette parole che il governo Trump ha proibito in alcuni documenti dei Cdc, i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, alcune ricalcano le scelte ideologiche tipiche della destra religiosa americana che appoggia il presidente: vietato parlare di feti – termine probabilmente troppo asettico per i progetti dei conservatori di ostacolare il diritto all’aborto umanizzando lo sviluppo intrauterino –, vietato parlare di transgender, di persone fragili e vulnerabili, persino di diversità. Preoccupante, soprattutto se questa “messa al bando” non si limiterà ai documenti per il budget ma riguarderà anche i progetti di prevenzione dei Cdc, ma certo non una novità.

Due termini messi al bando, tuttavia, vanno al di là di questo e sono ‘science-based’ ed ‘evidence-based’. Niente affermazioni fondate sulla scienza e sulle prove scientifiche. Al loro posto, si suggerisce una lunga e significativa perifrasi che include anche “gli standard e i desideri della comunità”. Che, sia chiaro, vanno certamente presi in considerazione, soprattutto quando si vuole passare dalla ricerca scientifica vera e propria a raccomandazioni e regolamenti indirizzati alla popolazione. Ma l’impressione è che qui si vogliano mettere sullo stesso piano studi epidemiologici e sentire comune. Insomma, ricerche scientifiche sulla pericolosità e contagiosità di una malattia avrebbero pari dignità del “ma cosa vuoi che sia, mio cugino l’ha avuta e adesso sta benissimo”.

Il problema, in altre parole, non è che il governo Trump critichi la ricerca scientifica – attività lecita e persino necessaria –, ma che si senta in diritto di farlo senza argomenti, nella convinzione che la scienza è un’opinione come un’altra e può quindi essere attaccata, se non sostituita, da un’opinione qualsiasi. Un atteggiamento pericoloso non solo per la ricerca scientifica, ma per la stessa democrazia che – è la tesi di alcuni storici della scienza come Gilberto Corbellini – si fonda sugli stessi valori della scienza: la messa in discussione dell’autorità , la tolleranza verso le opinioni altrui unita al rispetto per i dati di fatto.

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