Commento

Internet come lo vogliono loro

16 dicembre 2017
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Adesso che Ajit Pai ce l’ha detto siamo tutti più tranquilli: potremo continuare a pubblicare foto di cibo e gattini sul web. Quello che il presidente dell’autorità americana delle telecomunicazioni si è dimenticato di dire nel video pubblicato alla vigilia dell’abolizione della ‘net neutrality’ è che per farlo si potrebbe dover pagare di più. O che, magari, si potrà fare solo quello.

Non basta vestirsi da Babbo Natale e fare umorismo di basso livello su YouTube per cambiare il fatto che con la propria decisione la Federal Communication Commission – al netto della battaglia legale e politica che si sta scatenando e che potrebbe ancora cambiare le carte in tavola – darebbe facoltà alle compagnie di telecomunicazioni americane di decidere unilateralmente quali siti e app privilegiare (perché pagano), quali rallentare artificialmente (perché della concorrenza) e quali eventualmente bloccare. Così in futuro potrebbe accadere che Facebook non funzioni sulla rete di un fornitore, a meno che la compagnia di Zuckerberg non sborsi quattrini per avere una corsia preferenziale. Oppure potrebbe succedere che per utilizzare Instagram gli utenti di un’altra compagnia debbano acquistare un pacchetto dati che sblocchi l’app. E così potrà essere per qualsiasi sito o applicazione là fuori: una sorta di censura cinese, dove invece della politica è il denaro a decidere.

Ben inteso, lo scenario è temporaneamente limitato agli Stati Uniti. Nulla cambierà per ora in Svizzera, dove esiste un accordo tra gli operatori per evitare uno scenario del genere e dove la banda disponibile è tanto ampia da non generare pressioni. È però pacifico che un cambiamento al di là dell’Atlantico può aprire nuovi fronti anche nel Vecchio Continente, con le compagnie telecom che potrebbero voler approfittare del nuovo, lucroso, corso. E allora vale la pena andare fino al nocciolo della questione, al concetto di neutralità della rete, ovvero internet come lo conosciamo oggi, dove tutti i tipi di dati – video, messaggi, foto, audio – transitano alla stessa velocità. Un principio di estrema libertà, dove la connessione è un puro mezzo di accesso alle mille sfaccettature del web e dove portali di grande successo hanno la stessa dignità di servizi di nicchia. Caduto questo paletto, a vincere potrebbero essere unicamente i colossi dei contenuti a pagamento, pronti a sborsare un sacco di quattrini (storcendo il naso) per le corsie preferenziali. Rimarrebbero invece fuori i piccoli, le start-up e chi non può permettersi la prima classe. A rimetterci sarebbero pure gli utenti, costretti a pagare, oltre all’abbonamento, anche il fornitore di internet per riuscire a vedere un film. In questo contesto, internet sarebbe sicuramente meno democratico, meno libero. Di certo non morto come vorrebbero certe iperbole. A preoccupare per la salute della rete è semmai il fatto che Pai, massima istanza nel settore negli Usa, tra le sette cose che si potranno continuare a fare senza ‘net neutrality’ includa ai primi posti banalità come le foto di cibo, gli acquisti natalizi e i meme. Perché, francamente, internet è tanto di più. E dei gattini possiamo fare a meno. Del resto no.

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