Commento

Le casse piene e i negozi vuoti

(Max Veronesi)
15 dicembre 2017
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Domenica scorsa i negozi di Lugano e Bellinzona erano semivuoti. Molte persone in giro, pochissime con pacchi e pacchetti. Sarà che non era ancora arrivata la tredicesima e gli acquisti natalizi slittano all’imminente weekend, come si attendono peraltro i commercianti ticinesi che si trovano altrimenti a chiudere un anno di vacche magre. E sarà che l’acquisto online sta dilagando grazie soprattutto ai prezzi bassi praticati. Qualcosa vorrà pur dire.

Non c’è più la massa critica, il potere d’acquisto del ceto medio si è notevolmente assottigliato e la forbice dell’ineguaglianza si è allargata, come racconta l’indice d’impoverimento che vede il Ticino in fondo alla classifica. Per dirla in sintesi, il gelo di questi giorni ben racconta il clima, non solo meteorologico, di questo Natale 2017. E però… ieri il Gran Consiglio, la politica istituzionale, ha brindato (con larghissima maggioranza) al conto preventivo più bello degli ultimi trent’anni, perché chiude con un avanzo d’esercizio di 7 milioni e mezzo di franchi (su un bilancio complessivo di oltre 3 miliardi e 700 milioni di franchi). L’obiettivo è stato raggiunto, i conti dello Stato sono in pareggio con largo anticipo (il Piano finanziario d’inizio legislatura fissava il risanamento entro il 2019).

Il Paese reale marcia sul posto, lo Stato gode ottima salute. Qualcosa non torna. Ce lo dicono le cifre. Il 50 per cento dei contribuenti ticinesi dichiara un reddito imponibile inferiore ai 40'000 franchi annui e il 25 per cento è esentasse. L’imponibile, è vero, non dice tutto anche perché il nostro è fra i Cantoni più generosi nel campo delle deduzioni fiscali, ma certo non si può parlare di un ceto medio benestante. Deduzioni fiscali copiose, ma prestazioni e servizi in dieta, se è vero come è vero che negli ultimi anni si sono tagliati almeno 50 milioni di franchi in sussidi e sovvenzioni per risanare il bilancio.

Un quadro generale ancora più complesso e contraddittorio se confrontato con lo sviluppo economico che sopravvive grazie alla libera circolazione delle persone (e relativa manodopera a basso costo), ma al contempo soffre per il medesimo motivo, perché la stessa libera circolazione impoverisce i consumatori qui residenti costretti a salari spesso indecorosi e relativa erosione del potere d’acquisto.
Può dunque brindare tranquilla la politica che dice di pensare al futuro, dimostrando però scarsa lucidità sul presente? Ma soprattutto, a quale futuro si riferisce, ovvero quale “risanamento” è davvero necessario per fare uscire il Canton Ticino fuori dalle sacche dell’improduttivo, demagogico e illusorio “primanostrismo”? Non vogliamo essere fraintesi: uno Stato sano è buona cosa per tutti, ma il tasso reale di salubrità di una comunità va ben oltre le finanze dell’amministrazione pubblica. Lo sappiamo tutti, anche se qualcuno fa finta di dimenticarlo per poi magari ricordarlo solo in campagna elettorale. Che è tristemente noto, vale quello che vale, ovvero il trascorrere di un mattino, anzi di un voto.

Eppure lo spazio di manovra per gettare le basi di un nuovo sviluppo ci sarebbe eccome. Basterebbe, ad esempio, investire maggiormente nella formazione e nella qualità tecnologica (produttiva, ambientale, energetica, dei servizi e dei trasporti), aprendo le porte alle alte professionalità estere che produrrebbero così indotto di valore anche per la manodopera locale. Qualche esempio già c’è. Ma per farlo servono progetti, lungimiranza e anche cultura politica. Regali preziosi che solitamente non si trovano sotto l’albero di Natale.

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