Commento

‘No Billag’: una ‘calla-neve’ fatta a mani nude

(Pablo Gianinazzi)
14 dicembre 2017
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Immaginiamo una nevicata come quella che ha messo in ginocchio mezzo Ticino. E immaginiamo anche di svegliarci il mattino, mettere il naso fuori dalla finestra e osservare uno scenario inedito: strade perfettamente pulite e agibili, ampi marciapiedi senza alcun ostacolo e nessuna traccia dei soliti mucchi di neve ingrigita accatastata ai bordi. Persino i nostri vialetti d’accesso sono sgombri come se non avesse mai nevicato, e lustre sono le scalinate che ci conducono alla porta di casa. Qualcuno, zelante, ci ha anche piazzato dei vasetti di fiori per bellezza. Poi usciamo, saltiamo in auto (ci hanno pulito anche quella) e decidiamo di dare un’occhiata nelle zone più discoste e periferiche. Manco a dirlo, anche lì il lavoro è stato svolto in modo impeccabile: strade, viuzze, e piazzette sono tutte non solo a prova di scivolata, ma asciutte e percorribili in sicurezza. Finalmente prendiamo fiato e lo urliamo a chi ci ascolta: “Questo sì, che si chiama servizio pubblico!”. “Cara grazia – pensiamo subito dopo – che disponiamo dei mezzi per sostenerlo”.

Ora immaginiamoci la stessa nevicata, ma con un altro tipo di risveglio: strade ancora in gran parte inagibili, servizio calla-neve approssimativo, marciapiedi intasati, vialetti ingombri e ovviamente nessun omaggio floreale. Con mille difficoltà, scivolando e controsterzando, raggiungiamo la periferia, poi imbocchiamo una qualunque delle nostre valli. Più ci inoltriamo, peggiore è la situazione che troviamo: sembra di stare fuori dal mondo. Anche questo è servizio pubblico, sospiriamo, ma con i limiti che gli sono propri e che abbiamo imparato ad accettare.

Molto, ma molto peggio di così, per analogia, sarà la situazione svizzero-italiana in ambito radiotelevisivo e di informazione pubblica se il 4 marzo voteremo “Sì” all’iniziativa “No Billag”. Perché di colpo non solo ci ritroveremmo con un servizio calla-neve approssimativo, ma la neve, dalle strade, la dovremmo togliere con le mani. Oppure potremmo provare a delegare il compito ad altri, ma dietro lauto pagamento e stando a precise condizioni: ti libero la strada ma in maniera tale che possano circolare soltanto certi tipi di auto; quanto ai marciapiedi, ti spazzo anche quelli, ma gli itinerari li scelgo io... Se ne vuoi degli altri, mi paghi. E mi paghi per sgomberarti il vialetto e spazzarti le scale. Quanto ai fiorellini, scordateli: non ci sono proprio in alcun pacchetto.
Quegli stessi fiorellini, e quello stesso vialetto, e quelle stesse strade pulite e accessibili – fino alla più discosta delle periferie – che invece oggi, in ambito di servizio radiotelevisivo pubblico, abbiamo la fortuna di avere grazie a una chiave di riparto confederata che è autentica manna dal cielo.

È fuori di dubbio che la Rsi andrebbe emendata da alcuni privilegi evitabili; ed è semmai lì che bisognerebbe intervenire in una nuova logica di gestione delle risorse. Ma la Rsi è oggettivamente molto altro: un’attualità ben fatta, legata al nostro territorio e alla quale bisogna dare atto di impegnarsi per essere impermeabile alla politica; i documentari e le inchieste (e chi si può più permettere di farle, ormai?); gli approfondimenti economici e quelli scientifici. È Rete Due, straordinariamente ricca, scrigno di emozioni e scoperte; è lo sport in chiaro, dalla Champions League alle Olimpiadi, dai Mondiali alla sequela di grandi eventi (il tennis con Roger Federer, lo sci con Lara Gut) che nel resto d’Europa si sognano (o vedono in pay-tv). La Rsi, ancora, è un’informazione valida e approfondita sull’internazionale (Tg, Rg, Modem) e il principale cordone ombelicale in lingua italiana che ci collega al resto della Svizzera, il nostro Paese. La Rsi sono i preziosi archivi che raccontano di noi, i simboli storici alla Mariuccia Medici, quelli radicati come l’Osi o contemporanei alla Frontaliers. Poi c’è tutta l’animazione con cui siamo cresciuti, radiofonica e televisiva, spesso intelligente e comunque lontana anni luce dalle idiozie che affollano i palinsesti italofoni dell’unica alternativa che abbiamo (l’unica a parte la rete, off course). È, ancora, una vetrina per centinaia di realtà locali – associazioni, club sportivi, piccole e grandi aziende –, per artisti e musicisti e per gli stessi Comuni. Infine, ma non per ultimo, l’ente radiotelevisivo pubblico sono le 1’200 persone che ci lavorano e i 213 milioni di franchi che confluiscono ogni anno nell’economia della Svizzera italiana.
Insomma, un “Sì” il 4 marzo significherebbe svegliarci al mattino, dopo la grande nevicata, e vedere solo tanto bianco. Sulle prime forse abbagliante, ma null’altro che bianco. Quel bianco in cui si sprofonda, e che cancella tutto.

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