Commento

Un venerdì nero salvato dai giovani

25 novembre 2017
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In questo “venerdì nero”, dal mio sgabello osservo il flusso di bambini gioiosi e vocianti che si apprestano alla visione di un film sull’assurdità (adulta) delle barriere sociali, razziali, culturali. Poco più in là, i ragazzi di una delle giurie si riuniscono un’ultima volta, mettono in circolo riflessioni e punti di vista, dibattono per approdare a una scelta condivisa. Ripenso con il freddo alla schiena a quanto stamattina mi ha detto un amico docente: un corso sull’uso dei tempi verbali in ‘Se questo è un uomo’ gli ha riproposto tutta la drammatica attualità dello sguardo di Primo Levi, la potenza del suo pensiero anzitutto politico. Cioè, nel perimetro sigillato di una vivisezione letteraria, ti parlano di racconto al passato o al presente, e chissà perché tu ti trovi a sprofondare nel silenzio di piombo che avvolge i campi di prigionia in Libia, che ci proteggono dall’invasione dei nuovi barbari, senza spade né cavalli, armati solo della loro moltitudine.

Le voci dei bambini riempiono la sala. Mentre loro scoprono che Azur e Asmar, il figlio del padrone e il figlio della serva, possono essere amici, leggo sulla mia tavoletta retroilluminata che in Egitto un attentato ha fatto 80, 150, 200 morti... Chi è stato tradito? Noi, da questa parte dell’età matura, o loro, gli innocenti? Fuori, ovunque da qualche parte, migliaia di miei simili si precipitano a cogliere l’occasione dell’anno. Dopotutto, anche noi finalmente abbiamo diritto al nostro “venerdì nero”. Se la felicità ha un costo, tanto meglio comprarla a prezzo di saldo. Magari, fare la scorta.
Lungo le strade le vetrine rivolgono la loro lusinga. Come non sentirsi partecipi di qualcosa? Dopo Halloween ci è stato concesso anche il “nero”, nei casi più generosi per tutto il weekend. Poi potremo celebrare la nostra Festa del Ringraziamento. In effetti, potrei portarmi avanti con i regali. Eppure il pensiero di Primo Levi mi segue: medita che questo è stato, ti comando queste parole, scolpiscile nel tuo cuore, stando in casa andando per via, coricandoti alzandoti, ripetile ai tuoi figli. Potessi alzarmi in volo, come una cicogna che in questo momento ad ali spiegate punta verso sud, quanto tempo impiegherei a sorvolare la Libia? Quanto è lontano da noi l’orrore del nostro tempo, in metri, minuti, respiro?

La commessa sorride, come ogni commessa. I ragazzi di Castellinaria dovrebbero aver scelto i loro premi. Forse stanno ancora discutendo di regia, fotografia, capacità di racconto, sguardo autoriale, di messaggi estetici e politici consegnati alla nostra attualità. Fuori, il mondo adulto – quello delle regole, maturo, responsabile e in genere deluso dalla loro superficialità – gli consegna un lungo “venerdì nero”, tutto per loro, buono per esercitare la loro incerta capacità di misurazione del bene e del male.
Sulla mia tavoletta leggo che in Alabama una rissa è scoppiata per un paio di scarpe, un bimbo ha rimediato una scarpata. I ragazzi di Castellinaria hanno deciso: premiato ‘Un sacchetto di biglie’, la lunga fuga di un bambino attraverso la Francia dalla barbarie nazista. Vorrei dirlo a Primo Levi, ai detenuti nei lager libici.
La commessa sorride. Che faccio, entro? Mi prendo il sorriso, è gratis.

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