Commento

Difesa aerea, due grossi nodi

(© Ti-Press / Benedetto Galli)
10 novembre 2017
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Nel maggio del 2014 il 53,4% dei votanti respinse l’acquisto di 22 aerei da combattimento Gripen per 3,126 miliardi di franchi. Secondo l’analisi Vox, un terzo di coloro che votarono ‘no’ lo fece perché riteneva che i costi fossero troppo elevati o che il denaro potesse essere utilizzato meglio. Può dunque sorprendere che, a poco più di tre anni dalla batosta rimediata dall’allora ‘ministro’ della Difesa Ueli Maurer, il suo successore alla testa del Ddps Guy Parmelin e i suoi colleghi di governo tornino alla carica con un progetto che costa quasi tre volte tanto. E che doperà il budget dell’esercito.
In realtà, dallo schianto alle urne del jet svedese il contesto è cambiato; e il Consiglio federale tutto sommato si muove con circospezione. Oggi non si tratta più di sostituire soltanto la cinquantina di vetusti F-5 Tiger, come tre anni fa, ma l’insieme della flotta aerea (i 30 F/A-18 e gli F-5 Tiger) e pure i sistemi della difesa terra-aria, che giungeranno al termine della loro durata di utilizzo tra il 2025 e il 2030. Non finisce qui: oltre agli 8 miliardi destinati al completo rinnovo dei mezzi per la protezione dello spazio aereo, nel decennio 2023-2032 ne serviranno altri 7-8 per sostituire i sistemi d’arma principali delle truppe di terra, anch’essi obsoleti. Tutto o quasi giunge a scadenza simultaneamente. Una situazione «non ideale», anzi «regrettable» (spiacevole, o deplorevole), ha affermato Parmelin. Per il quale in gioco non vi è ‘semplicemente’ il futuro delle Forze aeree, bensì «né più né meno l’avvenire dell’esercito».

Date le circostanze, il Consiglio federale ha dato prova di prudenza. Ha concesso un miliardo in meno di quanto il capo del Ddps – stando a varie fonti di stampa – si apprestava a chiedere due mesi fa. E si è limitato a fissare un tetto di spesa corrispondente a una delle opzioni meno ambiziose (30 aerei più un sistema di difesa terra-aria di grossa portata) fra le quattro indicate in maggio dagli esperti incaricati di definire una visione d’assieme della difesa aerea dopo il fiasco dei Gripen. Il governo ha così lasciato aperte numerose questioni: quale aereo verrà scelto? Quanti velivoli serviranno? Quanti degli 8 miliardi previsti saranno loro destinati? Quanti saranno invece investiti nell’acquisto di missili terra-aria?

Ma sarà soprattutto attorno a due nodi che si cristallizzerà il dibattito. Il primo è la ‘referendabilità’ del progetto. Vista la sua portata e il precedente dei Gripen, difficilmente si eviterà un’altra votazione popolare. Tra i partiti nessuno si oppone al principio di una soluzione soggetta a referendum facoltativo. Ma il gruppo d’esperti istituito dal Ddps propendeva per un finanziamento nel quadro del budget ordinario dell’esercito, che lo escluderebbe. E il Consiglio federale ha chiesto al Dipartimento della difesa di approfondire le diverse opzioni. Ne sapremo di più a febbraio. Resterà in ogni caso aperta l’opzione iniziativa popolare: una via più ardua (100mila firme, doppia maggioranza) e già fallita nel 1993 (acquisto degli F/A-18).

Sono però i costi la questione più delicata. Il Parlamento già ha alzato il budget dell’esercito a 5 miliardi annui. E ora il Consiglio federale si appresta a sfornare “il più caro progetto d’armamento della storia” (‘Tages-Anzeiger’), destinato a far lievitare le spese delle forze armate a 5,9 miliardi in termini reali entro il 2032. A cosa serviranno esattamente i 7-8 miliardi che il governo intende consacrare nel prossimo decennio alle truppe di terra? Quali le priorità da stabilire? Quali settori, dentro e fuori le forze armate, saranno costretti a cedere (nuovamente) il passo di fronte agli appetiti di un Ddps che, in quanto a capacità progettuale e di spendere i crediti accordati, non gode certo di grande credibilità?

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