Commento

Trincea socialista sulla leadership

(Francesca Agosta)
24 ottobre 2017
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Un confronto aperto e trasparente, ma non per questo meno “franco” (tradotto dal politichese, duro), che gira attorno alla leadership. È quanto sta capitando all’intero del Partito socialista, sezione Ticino, con il dibattito interno sulla riforma fiscale e sociale presentata recentemente dal Consiglio di Stato. Il Comitato cantonale del partito la scorsa settimana ha deciso di bocciare l’intero pacchetto – con 31 voti contro 21 – sostenuto invece dalla maggioranza del Gruppo parlamentare (che si è sentito così sconfessato) e da Manuele Bertoli, consigliere di Stato socialista.

Da una parte dunque i “riformisti” impegnati nelle istituzioni cantonali e proprio per questo alla ricerca del compromesso (in un governo e in un parlamento dove la coabitazione forzata nelle maggioranze impone una continuo braccio di ferro), e dall’altra i “movimentisti” o se vogliamo tutti coloro che oggi temono di perdere l’identità e anche il proprio patrimonio ideale, patteggiando col “nemico”, a fine di bene finché si vuole, ma finendo in una notte di buio e nebbia dove, per chi sta fuori (gli elettori), tutti i gatti sono neri. La sinistra al potere ha perso ovunque e continua a perdere – sostengono i “massimalisti” (oggi non è più una bestemmia…) – e dunque è bene tornare nel bosco, giusto per usare una metafora di Pierluigi Bersani, già segretario del Pd italiano e oggi, guarda caso, alla sua sinistra. Fuori dagli “intrighi” di Palazzo, ritornello che tanto piace a chi, appunto, sta all’opposizione. Ma così facendo, cari compagni, perdiamo anche quel poco che si riuscirebbe a guadagnare per le fasce più bisognose, ribadiscono gli altri, i pragmatici.

Il “franco confronto”, a sinistra, non è cosa nuova. Ed è un bene perché arreca ossigeno alla politica, al di là di come la si pensi. In casa del Ps covava da tempo, da quando è stato eletto alla presidenza Igor Righini grazie a una maggioranza che non ha mai gradito le aperture “liberali” della precedente gestione (un esempio su tutti, la tentata candidatura dell’ex liberale radicale Jacques Ducry al Consiglio degli Stati). Righini, sin dal primo giorno, ha detto chiaramente di guardare al fronte rossoverde. Punto. Che in Gran Consiglio conta poco di più del Ps. Date le premesse, la deflagrazione del confitto fra eletti nelle istituzioni cantonali e vertice del partito era solo questione di tempo, puntualmente scoppiata.

Ora c’è chi come Raoul Ghisletta, deputato favorevole alla riforma Vitta-Beltraminelli, invoca statuto alla mano il referendum interno sulla decisione del Comitato cantonale. Per quanto ne sappiamo sarebbe una prima, tramite la quale si chiederebbe un parere agli iscritti senza passare dal Congresso (o magari da una Conferenza cantonale) dove solitamente in casa socialista si “celebra” il cambiamento di linea, di strategia politica. Col voto referendario si promuove – per quanto prevista – una prassi poco marxista e molto liberale, che esalta il giudizio del singolo senza mediazione di sorta. O quasi. Con il rischio di sconfessare pesantemente o il presidente del partito o il consigliere di Stato; comunque vada, un taglio netto fra le due aree. Sancito da tutti gli iscritti e dunque quasi irreversibile. Con tanti saluti alla dialettica e alle diversità, ricchezze rilanciate peraltro dallo stesso Righini anche settimana scorsa. In compenso ci guadagnerebbe la chiarezza. Una delle tante, nella lunga storia del partito. Poi, magari, potrebbe essere più difficile gestire la vittoria che non la sconfitta, a pochi mesi dall’allestimento delle liste per le elezioni cantonali.

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