Commento

Mezzi vivi Mezzi morti

27 giugno 2017
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C’è un certo tasso di futilità nei commenti seguiti al secondo turno delle elezioni amministrative in Italia. La pretesa resurrezione delle destra a spese del Pd ha cioè lo stesso valore, in termini analitici, della morte dei Cinque Stelle, decretata due settimane fa: scarso.

Del Pd (sconfitto in roccaforti storiche e incredibilmente vincitore in città di tradizione destrorsa) ha detto bene Ilvo Diamanti: è sempre meno un partito.
Al di là delle pur cocenti sconfitte in luoghi eccezionalmente simbolici come Genova (in una regione comunque già in mano alla destra) o Sesto San Giovanni  – il cui caso parla tuttavia più del disfacimento di un tessuto sociale una volta chiamato classe operaia, che dell’inutilità del Pd – al di là di questo, il problema del partito al governo è che ha abbandonato nei deserti astiosi dell’astensione non solo gli elettori, ma gli stessi militanti. E in un deserto, agli assetati di senso anche il bicchiere d’acqua della destra sembra vasto come un lago.

Ne deriva che se a tutti i costi si vogliono proiettare su scala nazionale i risultati di questo turno elettorale, la sola conclusione che se ne può trarre è che tre minoranze si disputano un primato di ben dubbia sostanza. E che verrà comunque assegnato con una legge elettorale ben diversa, una forma di proporzionale che distribuirà seggi a molte più formazioni.

Delle tre minoranze, una, il Movimento 5Stelle, è stata drasticamente ridimensionata già al primo turno, confermando il suo scarso radicamento sul territorio; e ha subìto al ballottaggio lo schiaffo del Pizzarotti riconfermato a Parma a dispetto dell’anatema scagliatogli contro da Grillo & C.

La seconda è una destra bicefala (a meno di credere nello spessore dell’aspirante terzo pilastro Meloni) che non farà un passo in più, stante l’incompatibilità tra Berlusconi e Salvini. La raccontino come vogliono, ma l’appeal del Cavaliere che dà bacetti a un cagnolino è la triste caricatura di quello di vent’anni fa; mentre l’europarlamentare-fantasma-padano non vale Bossi, subisce la concorrenza dei 5Stelle, e non ha chance di sopravvivenza politica se non come candidato presidente del Consiglio. Il suo profilo non gli consente cioè di subordinarsi a Berlusconi, come Berlusconi non può essere secondo a nessuno. In senso generale, oggi questa destra beneficia del disgusto diffuso verso chi è al potere, e per combinazione oggi vi si trova il Pd. Tutto qui.

Alla terza minoranza, il Pd appunto, abbiamo già accennato. Ma vale la pena ripetere che la crisi politica, di senso dell’esistenza quasi, del Pd non la si scopre oggi. Una crisi che in parte è figlia di un contesto peculiare: l’Italia resta un paese di destra, e la vacuità ambiziosa di un Renzi, opposta all’ambizione tignosa di un D’Alema hanno avuto l’involontario merito di rivelare l’infondatezza di un partito come il Pd. Per un altro verso, tale crisi è lo specchio del disfacimento delle sinistre “di governo” su scala europea, tanto che risulta imbarazzante usare il termine “sinistra” per riferirsi a chi oggi occupa tale ruolo. La loro non è una crisi determinata dalla sconfitta elettorale (del tutto plausibile in democrazia), ma di orizzonte, di proposta politica. Ed una crisi che trascina con sé quelle frantumaglie di sinistra-più-a-sinistra specializzate nel bruciare le figure pur degne che episodicamente assumono il rischio di provare a strutturarle.

Non è morto nessuno, insomma: sono tutti mezzi vivi, in una politica mezza morta.

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