Commento

La reversibilità dell’euro e gli esperimenti valutari

6 maggio 2017
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Due sono i punti salienti del programma economico di Marine Le Pen: fine dell’euro e il ritorno a confini commerciali e non solo all’interno del mercato unico europeo. Un mantra, quello della rottura della moneta unica, che si sente ripetere ormai da molti anni e che non si è ancora verificato e che probabilmente non avverrà tanto presto. Che il processo di unificazione monetaria sia stato una iattura, soprattutto per le economie europee meno solide e abituate a una finanza pubblica poco virtuosa, è un dato ormai innegabile. Che la soluzione sia il ritorno a un regime di cambi fissi è però un’altra chimera.

L’arrivo dell’euro ha permesso proprio a queste economie – quelle mediterranee, per intenderci – di finanziarsi a tassi d’interesse estremamente bassi. E non parliamo solo di debito pubblico. Anche le imprese e famiglie hanno tratto vantaggio da un costo del denaro scontato rispetto a quanto si era abituati a pagare nei decenni precedenti l’euro. I governi di questi paesi hanno però sottaciuto o sottovalutato l’altra faccia della medaglia: una moneta unica per sistemi economici e sociali diversi necessitava di un rigore dei conti pubblici molto più accentuato rispetto a prima. Gli anni della finanza pubblica allegra, come pure di un periodo di sostanziale e duratura crescita economica, erano terminati e chi non aveva riorientato il proprio settore produttivo e adattato la struttura dei salari alle nuove esigenze rischiava di restare fuori dal nuovo contesto competitivo continentale. Private della valvola di sfogo fornita dal tasso di cambio della valuta nazionale nei confronti delle altre monete, hanno dovuto svalutare i redditi da lavoro e le pensioni per cercare di riguadagnare produttività nei confronti del resto del mondo. È quello che è successo, per esempio, alla Grecia, ormai legata per lunghi decenni ai prestiti (con interessi remuneratori, ben inteso) degli altri membri della moneta unica e alle condizioni di rientro capestro imposte dai suoi creditori internazionali per continuare ad assisterla. Un malato terminale senza grandi prospettive di guarigione.

Molto diversa è stata la storia economica del paese più solido del club dell’euro: la Germania. Berlino, abbandonando il marco, si è ritrovata una moneta più debole rispetto ai suoi concorrenti e un’industria molto più competitiva. Oculatezza e laboriosità tedesca o opportunismo valutario? Probabilmente un mix dei due fattori che si sono aggiunti alla debolezza politica dei suoi partner europei degli ultimi anni. Nel mezzo ci sono Francia e Italia che hanno iniziato ad attuare le riforme del mercato del lavoro (leggasi svalutazione dei salari) e politiche di bilancio più restrittive molto più tardi e in un momento congiunturale negativo che hanno aggravato una già presente crisi della domanda interna.

Marine Le Pen che aspira a guidare la Francia – francesi permettendo, ovviamente – negli ultimi giorni ha moderato i toni sull’euro e proposto la nascita di una doppia valuta: mantenere l’euro per gli scambi internazionali e introdurre un’altra moneta per quelli nazionali. È facilmente immaginabile quale strumento sceglierebbero i francesi o chiunque si trovasse di fronte a una tale scelta, senza scomodare esperienze argentine o venezuelane, per tutelare i propri risparmi (piccoli o grandi che siano). La credibilità finanziaria del primo paese europeo che dovesse fare un passo del genere scenderebbe ai minimi termini con fughe di capitali all’estero e liti giudiziarie eterne con i creditori internazionali che vorrebbero essere ripagati nella moneta in cui sono espressi i titoli di debito da loro detenuti. Inoltre, l’ipotetico ministro delle Finanze che dovesse gestire un tale terremoto monetario dovrebbe attuare politiche di bilancio draconiane per riconquistarsi la fiducia di serio debitore ormai perduta.

L’euro, come tutte le cose umane, non è irreversibile ma sono inutili ulteriori esperimenti valutari. O si cambia veramente la politica economica europea oppure l’unica via percorribile, se mai ci dovesse essere bisogno, sarebbe uno smantellamento ordinato deciso di comune accordo tra tutti i membri della moneta unica. Insomma, l’euro come è nato dovrebbe morire

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