Commento

La vera sfida, popolari davvero

23 gennaio 2017
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Un po’ la “prepotenza” giovanile di Renzi, un po’ l’anarchia montanara di Messner. Ma Fiorenzo Dadò, neopresidente cantonale del Ppd, è anche altro. Come tutti noi. È riflessione solitaria dopo l’ascolto apparentemente distratto. Ed è anche custode attento e geloso dei valori conservatori, della “svizzeritudine” con tutti i suoi archetipi. In una parola, un presidente popolare. Di battaglia. Un leader, quello acclamato sabato dai numerosi popolari democratici giunti a Bellinzona, adatto per tentare di rilanciare il partito (elettoralmente ma anche mediaticamente) e indicare la nuova identità fra passato e presente. E già la prima scelta (le due vicepresidenze) stanno lì a dire che tutti hanno diritto di partecipazione, ma largo a giovani e a coloro che s’impegnano sul serio nelle istituzioni come nella società civile. Nel senso che per rilanciare la politica – Dadò questo lo sa bene – occorre far ripartire la macchina-partito perché non bastano le stelle e stelline del panorama social network. Per dirla come lui: qui c’è posto solo per chi lavora. Una squadra giovane, dunque, quella presentata sabato ai delegati (compreso metà Ufficio presidenziale) per un impegno che sappia valorizzare la socialità, l’ambiente e il territorio, magari iniziando proprio da quella sintesi complicata fra valli periferiche e realtà ticinesi suburbane; fra aggregazioni comunitarie di lunga esperienza (dove il Ppd non a caso è ancora radicato) e quella modernità compulsiva eppur ricca che sta ridisegnando le città, svizzere comprese. Una squadra giovane, si diceva, che andrà giudicata sul campo. Anche perché il Ppd di Dadò si muoverà senza alleanze precostituite, senza disegni aprioristici, ma cercando compagni di viaggio tappa per tappa, tema su tema. Per quanto un quadro generale, un contesto, s’è già intravisto coi primi passi e le prime parole, tutti tesi a valorizzare il partito e la propria area di riferimento; il proprio lavoro. Con impeto renziano e ideali messneriani, volando là dove si è convinti si debba volare. Magari anche da soli. Le sfide sul campo per Dadò e la sua squadra non sono semplici. La prima, interna, li vede confrontati con chi continua a privilegiare la “mediazione impalpabile”, che cuce e ricuce nell’ombra. Utilissima, in molti casi, ma poco adatta alla modernità muscolare che esige immediata visibilità. Del resto mutare anche solo le abitudini di un partito storico è impresa tanto affascinante quanto titanica. Il nuovo leader sa benissimo che non ha molto tempo; deve agire subito, sull’onda dell’entusiasmo. Ma la sfida più importante, ovviamente, è quella persa dagli ultimi predecessori: le elezioni. Va tamponata la costante erosione di consensi e per farlo servono idee e coraggio. E serve anche un partito compatto dietro il suo leader. Non ultimo, il nuovo gruppo dirigente popolare democratico deve dimostrare, soprattutto a chi oggi non vota Ppd, cosa distingue questo partito dagli altri ubicati attorno al centro. Insomma, deve smarcarsi. Riproponendo una politica capace di ascoltare i veri bisogni dei cittadini, in una sintesi d’interessi non sempre facile. Perché ha a che fare con le diseguaglianze. È quest’ultima la forca caudina che anche Dadò dovrà passare, rispondendo a chi teme di perdere benessere con un esame di coscienza che non ha bisogno di capri espiatori. Sino ad oggi non c’è riuscito nessuno (e chi ci ha provato ha perso elettori) preferendo il carro demagogico della Lega. Una strada strettissima, ma l’unica da attraversare per tornare davvero a far politica in un Cantone altrimenti “distratto”.

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