Commento

La linea di Strasburgo

11 gennaio 2017
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La bocciatura a Strasburgo del ricorso di due genitori musulmani, che a Basilea avevano rifiutato di lasciar partecipare le loro figlie alle lezioni obbligatorie miste di nuoto previste nel normale corso di scuola elementare, ha una portata che va oltre quella della singola decisione. Al di là della singola condanna (che di per sé è poca cosa, trattandosi di una semplice multa), conta piuttosto il fatto che a emettere il giudizio di conferma delle istanze cantonali e federali elvetiche è ora la Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale non c’è stata violazione delle libertà di coscienza e di culto. Molto, ma molto concretamente (mettendo le questioni più formali un po’ da parte) ciò significa che le autorità scolastiche hanno il diritto – ma a questo punto anche il dovere – di fare rispettare l’obbligo per i bambini di seguire integralmente ciò che è previsto in un normale percorso di scolarizzazione: indipendentemente dalle convinzioni religiose (anche contrarie) dei genitori. Percorso dal quale – aspetto centrale! – dipende anche il successo della loro integrazione. Parola usata, abusata e spesso invocata – l’integrazione – che deve prevalere sull’interesse privato dei genitori, che chiedevano la dispensa per le figlie per ragioni di culto. In questo caso, come in quello del bimbo che aveva rifiutato di dare la mano in segno di saluto alla maestra (perché femmina!) sempre alle Elementari, non ci si può quindi appellare alla libertà religiosa. Questa decisione che tocca la scuola pubblica (ma potrebbe non essere la medesima se la scuola fosse privata di connotazione religiosa) evidenzia l’importanza e la valenza della scuola statale. Di una scuola di tutti e per tutti, che deve assolvere al delicato compito di formare persone destinate a vivere e convivere in una società laica, e che permetta a tutti indistintamente dal proprio credo di vivere in una società multiculturale senza sentirsi discriminati. La scuola dunque come palestra anche di convenzioni maturate qui da noi e fondate sulla nostra cultura e sulla nostra tradizione: una scuola che non deve rinunciare, per esempio, a fare il presepe o l’albero di Natale se lo ha fatto per anni; che deve continuare a dare lezioni di ginnastica e di nuoto a tutti, se lo ha fatto sin qui; che deve avere docenti che danno la mano agli allievi, se così vuole la tradizione. Una scuola che sa trasmettere nozioni e cultura del posto nel quale, chi viene da fuori, chiede di essere accolto. E deve quindi essere chi arriva il primo che ha interesse a integrarsi, conoscendo e accettando regole, usi e costumi della comunità nella quale è approdato. Poi, chiariti questi elementari principi di convivenza, ci sarà tempo per fare passi di avvicinamento nella direzione della conoscenza reciproca dell’altro. Passi che però diventa difficile compiere se già sin da ragazzi per certe esperienze ci si chiama fuori, chiedendo trattamenti speciali. Ben vengano dunque Strasburgo e la Convenzione dei diritti dell’uomo per ribadire che su principi e valori cardine non si transige.

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