Commento

Mondiale a 48, sono tutti benvenuti

11 gennaio 2017
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Le legge è quella del vil denaro. Per carità, il calcio va nella direzione del business ormai da tempo, e non sorprende che chi lo governa sia alla costante ricerca di nuovi sbocchi, di nuovi mercati (meglio se ricchi...), di nuove vie (anche esotiche) da percorrere per allargare i confini di una disciplina che – ci viene detto – non è solo europea e sudamericana. D’accordo, il mondo è cambiato, il numero dei Paesi è aumentato (si pensi solo ai Paesi nati dall’ex Unione Sovietica o dall’ex Jugoslavia), l’Africa ha fatto passi da gigante, il Qatar ha strizzato l’occhio al calcio ricavandone a sua volta un Mondiale. Ma a tutto c’è un limite. Quale? Quello delle emozioni, dell’interesse per una competizione che rischia di essere relegata a torneo aperto più o meno a tutti. Con tanti saluti alle palpitazioni causate dalle qualificazioni, sovente incerte, al valore di una partecipazione che sarebbe scontata per troppe squadre, e non il premio che invece tale traguardo dovrebbe rappresentare. Un Mondiale deve essere un punto d’arrivo, una conquista che passa attraverso una serie di partite dall’esito per lo più incerto. È bello – anzi auspicabile – che qualche grande nazione “stecchi” malamente un’edizione, che ne resti esclusa. Allargare il contingente a 48 squadre significa riammettere tutti, anche chi con il vecchio sistema sarebbe rimasto escluso, per una banale quanto vitale legge dello sport che premia chi vince e penalizza chi perde, anche se si tratta di una “grande”. Ridotte le qualificazioni a una mera formalità priva di qualsivoglia contenuto tecnico, che dire della fase finale? Regalare un sogno a una nazione rischia di costare caro. Ingraziarsi le federazioni minori aprendo loro porte che sarebbero altrimenti chiuse comporta uno scadimento dei contenuti tecnici di un torneo che non potrà certo essere rivitalizzato da accorgimenti quali i paventati 16 gironi a tre squadre. Scemata presto (scemerà presto non c’è dubbio) l’onda emotiva generata dalla curiosità per la presenza pittoresca di una squadra più o meno esotica, i primi giorni della competizione trascorreranno nell’attesa che prenda inizio il Mondiale vero, quello serio. Quello in cui il calcio ricomincia a contare qualcosa. Le porte chiuse di cui sopra, quelle che si intendono spalancare a tutti, non sono forse chiuse proprio perché certe squadre non hanno il livello necessario a sostenere un Mondiale con la dignità tecnico-sportiva che questo richiede? È così, da sempre: se hai le qualità, partecipi, altrimenti resti a casa, posto che ti viene offerta l’opportunità – attraverso le qualificazioni – di almeno provarci, a scrivere la tua piccola storia. Regalare una caramella che alla resa dei conti rischia di avere l’amaro sapore della presenza folcloristica è un affare senza dubbio economico, visto che l’allargamento dovrebbe portare nelle casse della Fifa (è una stima) più di 650 milioni di franchi in più rispetto alle passate edizioni. Ma non ci si venga a raccontare che è per il bene del calcio. I confini sono stati allargati, già Blatter fece in modo che si uscisse da Europa e Sudamerica per coinvolgere – opportunisticamente – anche gli altri continenti. Le conseguenze del suo agire sono sotto gli occhi di tutti, e hanno portato alla sua defenestrazione. Tra l’altro, siccome l’assegnazione dei posti alle confederazioni chiamerà in causa la politica, davvero dobbiamo pensare a un calcio al riparo da nuovi scandali e magheggi?

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