Commento

Diocesi di Coira, un caso che scotta

26 ottobre 2016
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In questi giorni, nella diocesi di Coira, le acque stanno tornando ad agitarsi: all’orizzonte c’è la designazione di un nuovo vescovo. Un caso che scotta. E le acque si agitano a tal punto che il vicario generale – quindi non la base, ma qualcuno al vertice – ha chiesto a Roma di ‘attendere un attimo’ prima di procedere all’elezione del successore di mons. Huonder. Cioè di non avere fretta nel cercare un nuovo vescovo, ma passare piuttosto da un amministratore apostolico, proveniente da fuori diocesi, sufficientemente carismatico e capace di dare fiducia e pace alla diocesi. Insomma: par di capire che il nuovo passaggio di pastorale fra vescovi questa volta vada ben soppesato. Cosa sta dietro l’inconsueta richiesta? Il vicario generale non lo dice espressamente, ma lo si sa. Da anni dalle parti di Coira è in corso un braccio di ferro con Roma che ha voluto alla testa della diocesi vescovi che prima o poi sono stati aspramente contestati, anche pubblicamente, da una parte della base dei credenti. Base che allo stesso tempo subisce le influenze – quasi per osmosi – dal contesto in cui vive, nel quale la chiesa riformata ha un suo peso. Questo perché la chiesa protestante è molto più autonoma rispetto all’autorità, nelle procedure di nomina e non da ultimo nella percezione delle nuove istanze che provengono dal basso, dalla società civile in perenne mutamento. Ma la Città eterna è lontana da Coira e, quali osservatori esterni, ci pare che desideri presidiare quel confine tanto sensibile fra mondo cattolico e mondo protestante eleggendo vescovi particolarmente rigidi. Rigidi e persino provocatoriamente conservatori. Ma, a conti fatti, ciò non è un bene. Per rendersene conto basta tornare su tre casi che hanno segnato la cronaca di quei luoghi negli ultimi anni. Tutti ricorderanno che cosa avvenne nella diocesi sotto la guida dell’ultraconservatore (vicino all’Opus Dei) monsignor Wolfgang Haas. Fu talmente osteggiato dalla base, che Roma dovette inventargli – fatto inedito – una diocesi apposita. Venne quindi nominato arcivescovo di Vaduz. Ma anche quella scelta venne contestata e comunque la conferenza episcopale svizzera per anni dovette occuparsi di ricucire le tensioni sorte fra credenti della Svizzera centrale, che non si sentivano più rappresentati da quel vertice e che – elemento che spesso porta a ragionare – avevano smesso di pagare le imposte di culto. Qualcuno dirà: acqua passata, roba di vent’anni fa. Certo, e allora torniamo ai nostri giorni e ricordiamo la vicenda del parroco di Bürglen nel Canton Uri che, nel 2015, benedì una coppia lesbica e venne richiamato pesantemente dal vescovo Huonder. Ma con quel parroco si schierarono da subito la sua comunità e, se ben ricordiamo, anche il consiglio parrocchiale e le autorità politiche locali facendo richiesta di non spostarlo. E poi, pochi mesi dopo, fu il vescovo di Coira a rilasciare dichiarazioni incendiarie sugli omosessuali, estrapolando frasi dal Vecchio Testamento. Affermazioni che portarono persino il presidente del Ppd svizzero a manifestare il suo dissenso sulla stampa. Ciò che stupì fu che un vescovo, persona in vista e depositaria di un grande potere spirituale, si fosse permesso di fare delle dichiarazioni mortifere riguardo a persone spesso già discriminate, mentre la società civile sta compiendo passi nella direzione opposta, permettendo loro di vivere la loro sessualità alla luce del sole. Dichiarazioni che non solo hanno di fatto portato indietro le lancette del tempo, ma che hanno anche generato fra credenti omosessuali (e non) disorientamento e ulteriore allontanamento dalla chiesa ufficiale. Non possiamo quindi che convenire: una (ispirata, si spera) pausa di riflessione, prima del nuovo cambio, è più che benvenuta.

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