Commento

Ppd, un presidente per un’identità

25 ottobre 2016
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Fra pochi giorni si sveleranno le carte, meglio i nomi. La volontà, a quanto pare, è quella di andare al voto. Il Comitato cantonale del prossimo dicembre dovrà esprimersi su una rosa di più candidati; almeno tre. E fra questi potrebbe esserci anche Filippo Lombardi. Potrebbe, perché tutto è ancora aperto e la partita non ancora chiusa. Comunque vada, ci dicono i bene informati, sarà una battaglia vera fra potenziali presidenti convinti di poter dirigere il Partito popolare democratico ticinese in un periodo, l’attuale, non certo facile. Anzi, decisamente complicato per gli “azzurri” da tempo alla ricerca dell’identità perduta. Perché il solo rifarsi ai valori cristiani è non solo presuntuoso (come se per i credenti non vi fosse alternativa politica), ma anche datato in una società senza grandi punti di riferimento, se non l’appartenenza territoriale. Una crisi profonda, quella del Ppd, che necessita di una vera svolta. Servirebbe una figura carismatica – che c’è, ma non può far tutto – e al contempo rassicurante, capace dunque di rilanciare il partito (in particolare la visibilità) senza paura di ritrovarsi solo in trincea. Come peraltro già capitato in passato, ad altri presidenti popolari democratici. Diciamolo pure, il senatore “azzurro” candidato o meno ha molte carte in regola per assumersi definitivamente la presidenza, anche perché in questo anno e mezzo ha dato prova di entusiasmo e mediazione. Un profilo forte e dunque ingombrante, ma non si può chiedere a un pugile di ballare il tip-tap. Se è vero, come pare, che ci sarà confronto pubblico (perché il Comitato cantonale è aperto ai media), l’occasione è importante per capire non solo chi alla fine la spunterà, ma anche su quali basi e con quale programma politico. Per quanto il futuro presidente del Ppd, come vuole la tradizione, non potrà mai assumere posizioni radicali e, al contrario, dovrà sempre saper restare in equilibrio fra la realtà economico-conservatrice e quella social-sindacale; quest’ultima è forse oggi sotto rappresentata ma ancora molto vivace, soprattutto fra i simpatizzanti. Eppure c’è bisogno di tornare a parlare di politica, nel Ppd come altrove. Ben venga dunque il confronto per la presidenza cantonale, ma che sia confronto vero. Almeno in Comitato cantonale. Il partito ha saputo rinnovarsi, sia nell’apparato (con la nomina del nuovo segretario cantonale), sia nelle istituzioni (vedi Gran Consiglio). I profili ci sono, l’impressione è che però manchi un “collante identitario” capace di far squadra. Molto, a questo proposito, può e deve fare il leader, consapevole che non basta dirigere, ma serve anche – se non soprattutto – creare entusiasmo e trasmettere empatia. Oggi più di ieri – nel Ppd come negli altri partiti – servono leader, a nostro giudizio, disposti a sacrificare qualcosa di sé (cosa non facile in un’epoca mediatizzata) per far crescere la “struttura” che è garanzia di continuità. Non tutti ci riescono ed anzi, è il lato più complicato della leadership, anche perché condizionata dal ritornello oggi più cantato che vuole vincente la politica senza i partiti. L’ennesimo abbaglio. In breve, il nuovo presidente del Ppd dovrà saperci dire cosa vuol dire oggi dirsi “popolari democratici”. Perché non può bastare dirsi semplicemente “ticinesi”. È su questo che dovrebbe avvenire il confronto fra i candidati alla presidenza. Senza pregiudizi e in totale trasparenza.

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