Commento

I nodi irrisolti di AlpTransit

9 settembre 2016
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I treni passeggeri circoleranno a una velocità di 200 chilometri orari oppure solo a 160 sotto la nuova galleria di base del Gottardo? A sollevare il dubbio sono stati i giornali domenicali della scorsa settimana, in cerca di notizie e in mancanza di novità sul fronte politico e, questo, nonostante l’acceso dibattito sull’iniziativa Udc contro l’immigrazione di massa. Le Ffs smentiscono e rilanciano. Lo ha fatto ancora mercoledì a Chiasso il Ceo Andreas Meyer. Ma, nel frattempo, il personale mormora. Capitreno e macchinisti, freschi di istruzione in vista dell’apertura del tunnel (basta parlare con la base, come si diceva una volta) si ripetono. I 200 orari sono da dimenticare, affermano in coro, a tal punto che il nuovo orario terrebbe già conto di questa situazione. Secondo l’una (quella peggiore) e l’altra variante siamo comunque lontani dai 250 orari, velocità che ci si era illusi di raggiungere quando il progetto di AlpTransit stava prendendo forma. I problemi con i quali ci si trova confrontati sono almeno due: la resistenza dell’aria che causerebbe un dispendio energetico eccessivo ma non solo, percorrendo il tunnel ad una andatura maggiore e, ancora, la necessità di far convivere la circolazione dei treni merci con quelli destinati ai passeggeri. È qui che casca l’asino, viene da dire, perché il difetto sta nel manico e a essere responsabili non sono le Ffs, ma la politica. AlpTransit era stato pensato come progetto destinato a favorire il trasferimento delle merci dalla strada alla rotaia. Un obiettivo, questo, più che virtuoso. Cammin facendo ci si sarebbe poi resi conto che la galleria di base poteva rappresentare una opportunità pure per il traffico dei passeggeri. Come conciliare la presenza in galleria di un treno viaggiatori ogni ora e per direzione (ogni 30 minuti a partire dal 2020) e di 3-4 convogli merci, i quali procedono ad una velocità tra i 100 e i 120 orari? Anche perché sotto il nuovo tunnel non sono previste vie di sorpasso. Facendo di necessità virtù a imporsi, per finire, sarà il classico compromesso elvetico che prevede comunque importanti miglioramenti rispetto alla situazione attuale. Per i passeggeri come per le merci. Non si tratta di demolire quella che è stata definita l’opera del secolo, destinata ad avvicinare il Ticino al resto della Svizzera, ma anche l’Italia alla Germania. Se, sotto il Gottardo, i giochi sono ormai fatti, esistono tuttavia ancora dei margini per una ‘ottimizzazione’ della rete esistente, un termine che sembra piacere alla nuova presidente del Consiglio di amministrazione delle Ffs Monika Ribar (v. intervista con ‘laRegione’ del 31 agosto). Giocoforza agire sulle vie di accesso, come ha evidenziato Remigio Ratti lo scorso 24 agosto sul ‘GdP’. Se già la Svizzera ha rinunciato all’alta velocità (treni che circolano almeno a 300 orari), optando per linee convenzionali e privilegiando altri fattori, a cominciare dalla capacità, vediamo almeno di rilanciare l’idea di un prolungamento a sud e a nord di AlpTransit. I tempi non sembrano tuttavia propizi soprattutto per le Ffs le quali mirano – citiamo ancora Ribar – al mantenimento di ciò che esiste. È una questione di budget, si dirà. Intanto, tuttavia, l’obiettivo che più persone e operatori della logistica scelgano il treno si allontana. Forse a mancare sono anche politici visionari, capaci di andare oltre il quotidiano. Pensiamo ad un Sergio Salvioni, pure citato da Ratti, che seppe rilanciare il tema di AlpTransit dopo che lo stesso era stato abbandonato. Ma la foto dell’ex senatore non figura tra quelle esposte nella galleria intermedia di Sedrun. ‘Mala tempora currunt’ con quel che segue.

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