Commento

Il Festival del film e i giorni di paura

9 agosto 2016
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Il Festival del film paradigma attualissimo di una società che si pone tante domande e ha paura di non trovare le risposte? Le apparenze inducono all’affermazione, ma come sempre ci raccontano solo una parte della narrazione. Vediamo perché.
Mai come quest’anno a Locarno si vive, come dire, un profilo ‘moderato’, dove gli ‘eccessi artistici’ si contengono in una cornice accettabile. Nessuna polemica, nessun film davvero ‘scandaloso’, nessuna provocazione come un festival, a ben vedere, avrebbe diritto di lanciare. Perché se l’arte ha un senso, quest’ultima non sempre è buona e canonica, anzi. Quasi mai. Estrema rappresentazione di ciò che siamo e, soprattutto, siamo condannati a essere (anche contro ogni logica razionale o normativa), l’arte – soprattutto figurativa e dunque anche cinematografica – è per sua natura dirompente perché ci racconta un mondo che spesso non vogliamo prendere in considerazione. Da qui il contrasto, la polemica, l’attrito con tutto il resto, con tutto ciò che è ‘ragionevole’.
Ebbene, quest’anno è come se la trasgressione – che ripetiamo è propria di ogni festival degno di questo nome – avesse trovato un proprio sito di riflessione, quasi una pausa. Perché c’è dell’altro, d’una tale forza da far passare ogni altra manifestazione quasi sotto significato.
Troppe e confuse le domande che ci facciamo sull’insicurezza quotidiana, percepita come reale e urgente, quasi da oscurare le pur legittime performance artistiche tese alle contraddizioni e alle conseguenti riflessioni sulle nostre miserie (umane). Nulla può competere col terrore e, peggio, con la paura d’avere ogni giorno... paura di un pericolo imminente che può assumere le sembianze di un coltello o anche di un camion impazzito. Nulla in verità – e lo sappiamo – può impedirci di giungere a termine, ma inquietante è la sensazione che tutto ciò possa realizzarsi in ogni istante e senza poter far nulla o quasi. La nostra impotenza è lì, nuda. Come una quarta età generalizzata, quando ogni giorno è un regalo della vita. E come non bastasse, senza capire perché – ad esempio – ci sia chi è posseduto da tanta debolezza da farsi saltare in aria, e noi con lui, in nome di un’identità smarrita o mai avuta.
Tante domande, appunto, con poche risposte. E allora anche il Festival del film sembra adeguarsi, quasi inconsapevolmente, nell’abbassare i toni, il clima, evitando di svolgere la propria missione. L’arte dovrebbe diffondere una ‘sana inquietudine’, quella che fa riflettere – appunto – sul senso della vita e dell’uomo, per evitare lo scontato e il generico così tanto comodi e rilassanti sonniferi del vivere. Perché tutti noi, amanti o meno del cinema, ricordiamo con piacere (o persino con leggera paura) solo quei film che ci hanno ‘scosso’, in altre parole emozionato. Solo quelle narrazioni cinematografiche che hanno saputo porci domande forti e profonde, senza darci alcuna risposta. Perché ogni cammino deve dare un senso alla propria storia.
Così è sempre stato anche col Festival di Locarno, spazio privilegiato perché lontano dai lustri e lustrini, ma a ben vedere lo è ancora, al di là delle apparenze. Basta solo saper leggere nelle pieghe, guardare con gli occhi attenti e pazienti, trovare il tempo di andare oltre la Piazza. Occorre, come sempre, non seguire i tamburi ossessivi ma, al contrario, lasciarsi guidare dai sussurri dell’incanto. Che ce n’è ancora, eccome se ce n’è, in questi giorni in riva al Verbano come in ogni luogo di questa spaventata Europa.

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