Commento

Per sé stesso, per il prossimo

21 luglio 2016
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Dimitri se n’è andato in modo coerente con sé stesso, la sua storia, il suo personaggio. In scena, fino all’ultimo, fino a intraprendere il suo viaggio verso quell’aldilà in cui a modo suo credeva, fiducioso di andare a “danzare con le anime”, senza i compromessi di cui è fatta ogni esperienza terrena. Forse ha chiesto troppo al suo corpo negli ultimi giorni. Di certo non al suo spirito, e immaginiamo sia partito con il sorriso, quello che abbiamo visto ancora pochi giorni fa in scena, nonostante i dissapori interni al suo Teatro, che non meritava di dover vivere. “Ridere è un piacere, ma provocare il riso è ancora più bello”, ci aveva detto tempo fa. Con Dimitri se ne va un altro testimone, un protagonista, di un Ticino laborioso, creativo, aperto e costruttivo, pieno di idee e di voglia di realizzarle. Un Ticino capace di sogni forse piccoli, ma raggiungibili, come piacevano a lui, e di riconoscere nella cultura uno strumento di riscatto collettivo, attraverso cui pensare e edificare un Paese migliore. Tre ore di lavoro al giorno, questa la sua regola, fino all’ultimo, convinto del fatto che “senza un allenamento continuo non si raggiungono grandi risultati”. Questo lo insegnava ai suoi ragazzi, la sua più bella eredità, attraverso quella scuola che negli anni 70 mai avrebbe immaginato che sarebbe divenuta un’Accademia. L’aveva aperta così, mosso da uno dei suoi slanci, per rispondere alla richiesta di molti giovani di imparare da lui. E a lui, ci ha detto un giorno con una luce negli occhi, i giovani ispiravano fiducia nel futuro. Dimitri era un ottimista, ma consapevole delle bassezze del mondo. Nel suo corpo ha battuto fino all’ultimo il cuore di un bambino, incantato di fronte ad ogni più pura espressione di vita, dagli entusiasmi incontenibili quanto contagiosi, ma mai ignaro di ciò che è la realtà oltre il suo palcoscenico. Era un artista e come tale, con tutte le insicurezze che ancora lo prendevano quando saliva sul palco, amava stare al centro dell’attenzione, ma con uno spirito pulito, interessato al piacere del prossimo. E per questo professionale, meticoloso, umile. Il clown è un essere “altro”, vive in una dimensione parallela, dove la realtà sfuma in sogno e i sogni si concretano in realtà. Lui, come altri, il suo clown lo aveva trovato in pochi minuti, frugando fra i vestiti di suo papà: una giacca dalle maniche lunghe, pantaloni stretti e corti, scarpini neri, calze e maglietta rossa. A quel personaggio è rimasto fedele, perché quello era lui, forse la parte più pura e autentica del suo essere. Quella che si incanta per tutto, ma che sa vedere l’altro, e il dolore, volgendo ogni lacrima in sorriso. Dimitri ha scorto presto il suo destino, a sette anni al circo un clown lo ha stregato. Per maestro, poi, ha avuto uno dei più grandi del suo tempo, forse il migliore, Marcel Marceau. E lui questi due universi sempre più distanti, come gemelli separati alla nascita, il circo e il teatro, è tornato a farli incontrare in quello che pensava come una sorta di “teatro totale”; fondato sul movimento, l’acrobazia, l’espressività, il sorriso. Amava il palco, Dimitri. Lassù, da subito, ha conquistato un successo raro, fino alla “Clown Hall of Fame”. Ma non ha mai dimenticato il prossimo, gli ultimi, incarnando lo spirito di un Ticino solidale e coraggioso, capace di attivarsi sempre di fronte al bisogno di un essere umano, anche clandestinamente. La politica non l’ha mai voluta sul palco, quello è lo spazio del sogno. Ma era cosciente di essere un privilegiato, l’impegno civile gli sembrava semplicemente il minimo. Li ha difesi fino all’ultimo, il sogno e l’impegno, perché non vedeva una ragione di smettere finché lo spirito, il corpo e il pubblico lo avessero sostenuto. Era per sé, ma soprattutto per gli altri. Grazie.

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