Commento

Matteo Renzi vede le (5) stelle

21 giugno 2016
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A Roma hanno vinto i 5Stelle, a Torino ha perso il Pd. Non è esattamente la stessa cosa. Se nella capitale il Pd aveva già perso con lo scandalo di Mafia Capitale e l’estromissione cospirativa del pur irrilevante Marino (mancavano solo il sigillo elettorale della sconfitta e un volto nuovo per certificarla), nel capoluogo piemontese Piero Fassino aveva credito e motivi per sperare nella riconferma. In questo senso, il caso piemontese esemplifica molto bene quale sarà, anzi è già, il prezzo che pagherà il Pd per il proprio annullamento nella personalità di Matteo Renzi. Lungi dall’aver prodotto un movimento di consenso e simpatia (se non in una primissima, fugace fase), l’imporsi dell’attuale presidente del Consiglio ha generato un moto radicale di scontento e rifiuto. Che ha quasi azzerato la fiducia accordatagli da chi vi aveva scorto una capacità di rinnovamento di un ceto politico ingessato, e ha alimentato, ben più di quanto meritino, le velleità dei suoi oppositori. I quali, a Torino, dalla Lega a Forza Italia alla destra ancora più a destra, hanno avuto buon gioco a coalizzarsi a favore di Chiara Appendino, in un voto “contro”. A sua volta, la neosindaca dovrà pagare pegno ai suoi temporanei sostenitori (arruolando, per cominciare, come assessore il contabile della giunta leghista di Cota). Ma intanto: se davvero Renzi ritiene che il vero test per la propria leadership sarà il referendum sulla riforma costituzionale, farà bene a inventarne qualcuna, perché l’alleanza, pur posticcia, che ha mandato a casa Fassino è la stessa (rafforzata dalle frange dissidenti del Pd) che manderà a casa lui. Lui e le cariatidi che nel Pd reputano ancora di potersi presentare come sua alternativa, tale Massimo D’Alema su tutti. Costoro, dapprima non hanno inteso che il primo successo di Renzi risiedeva proprio nell’apparire alternativo alla loro inadeguata vetustà; né ora capiscono che chi ha voluto colpire Renzi non si affiderà di certo alla loro verbosa inutilità. Guardino piuttosto dove sono andati a finire i voti dei giovani e dei ceti meno abbienti. Naturalmente non si esaurisce qui la lezione di domenica. Napoli a parte – dove sì, il risultato è mooolto locale – due altri segnali sono non meno importanti. Quello di Milano indica che la destra di Berlusconi non è niente senza di lui, e dunque niente resterà. Se Beppe Sala, quanto di più distante poteva esserci dalla sinistra che elesse Pisapia e dunque sprovvisto dei suoi voti, è tuttavia riuscito ad accreditarsi come uomo giusto, battendo le sciurette Gelmini, i Lupi, i La Russa, i tg di Mediaset e il ‘Giornale’ (sì, quello delle campagne pro-Israele e di ‘Mein Kampf’ insieme), vuol dire che dopo Berlusconi c’è il vuoto. La Lega stessa porta a casa un risultato deprimente. La sguaiata campagna di Salvini, evidentemente sopravvalutato, si è rotta il naso fin dal primo turno a Roma, rivelandosi fallimentare l’ammucchiata con fasci e fascetti. Né è servita a qualcosa a Bologna, dove la sola candidata leghista arrivata al secondo turno in una città capoluogo, non è andata oltre. Tantomeno a Varese, persa contro il candidato Pd: come se Putin perdesse a Mosca... La sola alternativa a Renzi, dunque, sono i 5Stelle (siamo a posto). Un diritto che viene loro dal voto degli elettori (comunque meno numerosi del primo turno) e che segnala una singolarità italiana su cui sarà importante ritornare: a differenza di altri Paesi europei l’opposizione più popolare ai governi in carica non si raccoglie attorno a movimenti di estrema destra o di un nazionalismo radicale. Grillo (parte del suo elettorato viene da lì) si è fatto tentare dalle loro sirene, e tutto potrebbe essergli perdonato, ma non questo. La prova, piuttosto, che dovranno affrontare le donne di Grillo è quantomeno ardua. Non solo per l’onere di amministrare due città di tale importanza, ma anche di elevarsi sopra le molte imbarazzanti macchiette elette in parlamento con il loro stesso simbolo, e soprattutto di essere libere.

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