Commento

Il coraggio di scegliere

9 giugno 2016
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Ieri abbiamo riferito di un paio di indagini statistiche condotte dall’Osservatorio culturale, che si propone appunto non solo di monitorare e promuovere le attività culturali in Ticino, la loro produzione e il loro consumo, ma pure di stimolare una riflessione critica sulla loro gestione più proficua. I dati presentati, relativi ai musei e a eventi e operatori culturali, non è che rivelino verità da lasciar di sale il ticinese ignaro, però si prestano a qualche considerazione. A proposito di offerta, non sorprende che la gran parte degli eventi si concentri in città, così come gli operatori che li propongono. Figli come siamo di un secolare equivoco, secondo cui la vera cultura sarebbe quella umanistica, non sorprende neanche il fatto che oltre un terzo dei musei siano dedicati alle arti (anche se non sono i più visitati), mentre alle scienze è riservato un misero 4 per cento. Un dato, questo, a partire da cui la Conferenza cantonale della cultura e gli istituti attivi sul territorio (in particolare gli ultimi e più grandi arrivati), potrebbero avviare un’utile riflessione ai fini di quella “offerta culturale diversificata e di qualità” che è nelle intenzioni di tutti. E che si vorrebbe capace di attrarre un pubblico trasversale; con coraggio, costruttività, idee. A sorprendere, poi, non è neanche la ricchezza dell’offerta culturale in Ticino; per quanto questo sia un privilegio che a volte sfugge al potenziale fruitore distratto e/o lamentoso “perché non c’è niente da fare”, altre gli è precluso a priori per i prezzi degli eventi. Un esempio. Alcuni giorni fa, con l’intervento di Manuele Bertoli, è stato presentato lo spettacolo che durante l’estate verrà proposto al Monte Verità, per raccontare le storie e i personaggi che si vogliono più peculiari, interessanti, suggestivi della sua storia. Prezzo: 95 franchi. Ciascuno si faccia un’opinione. La vivacità dell’offerta è poi testimoniata dai 10mila eventi culturali di vario tipo organizzati ogni anno in Ticino. Ma anche dal fatto che dei 94 musei considerati nel censimento, i tre quarti sono stati fondati dopo il 1980, mentre la metà di quelli privati dopo l’anno 2000. Bene. Detto questo, però, tre dati s’impongono all’attenzione. Primo: dei 500 lavoratori coinvolti, circa un terzo sono volontari, vale a dire che molti musei senza di loro non starebbero in piedi. Secondo: del milione e mezzo di beni conservati, solo il 40 per cento è esposto, e questo forse rievoca alcuni antichi progetti cantonali, ventilati per decenni ma mai concretizzati. Infine, a fronte di circa 590mila visitatori, nella metà dei musei ticinesi non si arriva a 3’000 presenze l’anno. Perveniamo così al dato più interessante, che non è una cifra ma un’opinione. Infatti, il censimento dei musei ha invitato gli interpellati ad esprimere il loro parere, per evidenziare limiti e problemi non risolti con cui si scontra la loro attività, e magari suggerire delle iniziative concrete per rendere migliore e più efficace l’offerta. Se erano immaginabili la scarsità di risorse finanziarie e le difficoltà nella promozione, un sussulto possono provocarlo le soluzioni invocate. Non tanto il logico auspicio che vengano migliorate le sinergie, quanto l’indicazione a individuare in modo più preciso delle priorità; cioè a ripartire i finanziamenti in modo più mirato. Che a dirlo siano gli stessi operatori interessati, è già di per sé significativo. Quando, a tutt’altro livello, lo aveva scritto l’ex direttore di Pro Helvetia, con una formula ad effetto, “infarto culturale”, era scoppiato un putiferio, figlio di interessi e conformismo e una certa ipocrisia culturalmente poveri. L’invito a fare delle scelte, nell’interesse di tanti (a cominciare dal pubblico), è stato recapitato. Se e quando verranno fatte, ce ne accorgeremo. Non c’è dubbio.

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