Commento

Pezzo pregiato in frantumi

25 maggio 2016
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Il marchio Bsi non esisterà più, men che meno una Bsi indipendente. Di fatto ieri è stato celebrato il funerale di quella che fu la gloriosa Banca della Svizzera italiana, fiore all’occhiello della piazza finanziaria ticinese. A pensar male verrebbe da dire che se il fiore è quello emerso nel resoconto della Finma, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari, chissà come è, o era, il prato su cui è spuntato. Speriamo, per il futuro della piazza nostrana, che si tratti di un caso isolato e che la tentazione di cercare ricchi mercati esotici non abbia obnubilato del tutto le menti di altri dirigenti bancari, facendo loro dimenticare che ad affare lucroso corrisponde un altrettanto rischio reputazionale.
“In ragione delle relazioni d’affari intrattenute e delle transazioni effettuate nell’ambito dell’affare di corruzione del fondo sovrano malese 1Mdb, Bsi ha violato gravemente le disposizioni legali in materia di riciclaggio di denaro e il requisito dell’irreprensibilità”, si legge in un lungo e duro comunicato nel quale la Finma spiega tutti i risvolti delle ormai note vicende Petrobras e 1Mdb. Vicende su cui sono scivolati in modo “consapevole” (sono parole della stessa autorità di vigilanza) la direzione generale e il Consiglio di amministrazione di Bsi.
Per quanto riguarda il fondo malese si scopre, per esempio, che già alla fine del 2013 la Finma aveva in maniera chiara richiamato l’attenzione della banca sulla pericolosità delle relazioni d’affari correlate allo stesso. Le relazioni d’affari – si legge – sono state ripetutamente discusse dai vertici dirigenziali, in particolare anche dopo che la Finma aveva avvisato dell’esistenza di gravi e molteplici rischi connessi a tali relazioni, ingiungendole di procedere a ulteriori accertamenti. Ciononostante, il Consiglio di amministrazione (all’epoca presieduto dall’ex Ceo Alfredo Gysi), e la direzione della banca (il dimissionario Stefano Coduri), hanno – citiamo – “consapevolmente e reiteratamente deciso di continuare a intrattenere tali relazioni, molto attrattive dal punto di vista economico, senza che i numerosi ed evidenti indizi fossero adeguatamente chiariti e i rischi stessi rilevati”. Sta in questa frase lapidaria l’essenza della decisione di ieri di porre la Bsi in ‘liquidazione’. Processo affidato alla Efg International che si ritrova – suo malgrado, ci scommettiamo – a portare a termine il processo di acquisizione della banca ticinese a patto di assorbirla integralmente (addio al quartier generale luganese, per intenderci) e successivamente scioglierla. Tale operazione – si precisa – va considerata positivamente, poiché offre alla clientela e al personale una prospettiva futura. Anche perché di altre vie praticabili non ce ne sono. La Finma sta dicendo che le più elementari regole di ‘compliance’ (conoscenza del cliente e dell’origine dei fondi) sono state volontariamente e deliberatamente ignorate. E non si tratta di regole imposte dalla perfida Unione europea, men che meno dalla mefitica Ocse o dagli statunitensi impiccioni. No, sono le leggi contro il riciclaggio di denaro in vigore in Svizzera da un ventennio e le norme di autodisciplina (la Convenzione di diligenza) che gli stessi banchieri si sono dati per garantire un minimo di controllo preventivo, allo scopo di bloccare sul nascere l’afflusso di denaro di presunta origine non cristallina.
La piazza finanziaria ticinese ieri ha perso un pezzo pregiato della sua storia. Verrà sostituito tra un anno, nella migliore delle ipotesi, da una succursale della nuova Efg International frutto dell’unione ‘obtorto collo’ fatta dei cocci di Bsi, dei brasiliani di Btg Pactual e dei ‘greci’ di Efg. Tre zoppi non faranno certo un atleta scattante.

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