Commento

Delirio in volo o eroismo

11 maggio 2016
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Era in preda ad un delirio maniacale e si sentiva perseguitato, quando nel febbraio 2014 ha dirottato su Ginevra un Boeing 767-300 della Ethiopian Airlines, diretto a Roma. Ha trascinato nella sua folle avventura 204 ignari passeggeri. Un’ora e venti dopo il decollo, approfittando della pausa alla toilette del comandante, il copilota etiope si è chiuso nel cockpit e ha messo in atto il suo scellerato piano, minacciando di far schiantare il velivolo se qualcuno avesse tentato di entrare in cabina. Lunedì la giustizia ha decretato la sua verità su un caso che ha fatto parecchio scalpore: l’uomo, che ha messo in pericolo la vita dei passeggeri, si trovava in un momento di follia, non è stato ritenuto responsabile delle sue azioni e va curato. Così hanno deciso i giudici del Tribunale penale federale di Bellinzona. Una decisione che rispettiamo, seppur ricordando che in aula, tre psichiatri hanno dato tre letture diverse. Il perito dell’accusa, dopo tre sedute, ha decreatato: schizofrenia cronica grave, non è responsabile delle sue azioni. Per l’attuale medico curante : «Una persona chiusa, diffidente, con un disturbo delirante acuto e transitorio». Infine, lo psichiatra che l’ha seguito nei primi sei mesi di carcerazione ha spiegato di non avere ravvisato segnali per una diagnosi di schizofrenia. Alla fine la tesi del perito ha convinto la Corte. Accanto a questa verità processuale, vogliamo aprire una finestra sul contesto dove è maturato questo gesto. ‘Un atto eclatante contro la compagnia di bandiera, una sorta di atto di eroismo nazionale’. Questa è la lettura dei fatti rimbalzata sui media ad Addis Abeba. Il giornale tigrai titolava ‘il copilota etiope ha dirottato il volo per motivi politici’ citando anche una radio locale che parlava di un atto contro il governo coordinato dal gruppo terroristico Ginbot-7. Inoltre, durante il processo è emerso come la compagnia di Bandiera, in costante carenza di personale, fa lavorare i piloti oltre i limiti autorizzati, tutti sanno, nessuno fiata e tutti si adeguano, la sicurezza conta sulla carta, importante è coprire i turni, chi si ribella viene lasciato a casa. In questo contesto può maturare la voglia di rivolta, soprattutto in un Paese diretto da un pugno di ferro, dove controlli, censura, ingiustizie sono all’ordine del giorno. In Etiopia il copilota è stato processato in contumacia e condannato a 20 anni di carcere. Sequestrare turisti, operatori umanitari e imprenditori internazionali non è certo una bella pubblicità per il governo etiope. E chi conosce quella realtà sa che l’immagine viene prima di tutto. Ecco come si ragiona da quelle parti. Quando l’Unione africana – l’organizzazione internazionale che comprende tutti gli Stati africani – si riunisce nella sua sede ad Addis Abeba, il governo ripulisce la città. Perché la povertà disturba e deve scomparire. Si vedono camion governativi che setacciano le strade della capitale, caricano tutti i diseredati (che sono tanti!) accampati per strada e li depositano lontano dalla capitale. Una volta terminata l’assemblea, i diseredati possono riprendere il loro posto sui marciapiedi cittadini. L’immagine prima di tutto. Come per l’Aids che in Etiopia, è stata nascosta per anni, perché la verità non rovinasse il ruolo internazionale del paese. Intanto la gente moriva perché ignorava come si trasmetteva il virus. Medesima storia con le adozioni internazionali, ormai ridotte al contagocce, perché un Paese che non sa nutrire i suoi figli, non dà una bella immagine di sé. Orfani che quindi sono condannati alla fame o quasi. Se letto in questo contesto, il dirottamento di un copilota etiope può assumere anche sfumature diverse.

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