Commento

Da Vienna una conferma

26 aprile 2016
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L’Austria non sarà l’ultima. Il successo di Norbert Hofer, candidato dell’estrema destra nel primo turno delle presidenziali, oggi spinge i governi a dichiarazioni ben comprese della gravità del momento, e gli organi di stampa a interrogarsi sul perché di questa clamorosa affermazione. Ma non si tratta soltanto della conferma di una tendenza che si va affermando su scala continentale; è bensì un esito prevedibile, seppure ancora parziale, di una pedagogia ideologica di cui gli elettorati sono da molti anni ormai gli arrendevoli bersagli, da Stoccolma a Lisbona. Non è ancora la rappresentazione di un quadro generale omogeneo, né l’anticipazione di un destino già scritto, ma ha il potenziale per diventarlo. Con conseguenze anch’esse solo approssimativamente immaginabili. Al di là del clamore della cronaca, l’avanzata dell’estrema destra non è del tutto nuova o sorprendente, se non per l’estensione del fenomeno e per i temi che ne accomunano la propaganda: l’avversione all’Unione europea e ai migranti. E non è neppure, come si ama dire, la manifestazione di una protesta, di una insofferenza degli elettori per il “sistema”; non esclusivamente, quantomeno. Due casi lo confermano. Nella stessa Austria l’Fpoe (allora ancora smaccatamente nostalgica del nazismo) era già stata al governo in epoca Haider. Mentre in Italia la Lega ha condiviso il potere nei due decenni di berlusconismo realizzato. Prima della guerra in Siria, prima di barconi e rotta balcanica. Prima della grande crisi del 2008. Se poi si prova a distinguere tra i diversi retaggi storici dei paesi in cui le destre estreme sono al governo o hanno una forza tale da condizionarne le politiche, le differenze sono ancora più lampanti: nell’Europa centrorientale, l’eredità tossica di una cultura politica autoritaria e totalitaria sembra essersi riversata senza soluzione di continuità anche nelle formazioni che nominalmente sono le più distanti da quella matrice, da Varsavia a Budapest. Diversamente, di un front National francese – pur conformatosi alle norme di presentabilità del marketing politico – è certa la filiazione petainista e poujadista. E ancora differentisono i richiami “ideali” dell’estrema destra nordeuropea. Per non dire di quella che cresce in Germania: emarginati i nostalgici tutti teste rasate e tauaggi, il suo discorso ha potuto radicalizzarsi evitando le più infamanti accuse di neonazismo. Un nemico comune, dunque, ma poco in comune (come confermano, suo malgrado, i grotteschi complimenti di un Salvini a Hofer). E se questo è ciò che può assicurare consensi, al tempo stesso compromette ogni eventuale progettualità, coerentemente con l’ispirazione e la breve storia dei nazionalismi di ritorno: vivono di nemici e se non ce ne sono se li inventano. Non andranno lontano, se non generando nuovi conflitti. E tuttavia, sarebbe parziale e persino inutile limitarsi a indicare la natura ideologica della proposta elettorale che tanti consensi ottiene in questi anni. C’è un contesto preciso che concorre a spostare i voti, e quel contesto è una Europa in cui le disparità sociali sono cresciute parallelamente all’esaurimento delle organizzazioni politiche che storicamente erano nate per eliminarle, e alla distanza che separa le elite politico-economiche dalla gran parte dei cittadini. All’esaurimento, cioè, della sinistra, e alla trasformazione degli esecutivi in macchinisti ciechi della locomotiva tecno-finanziaria, o neoliberale, la si chiami come si vuol. Svuotati, la sinistra e gli esecutivi, della funzione che l’ultimo secolo aveva loro assegnata. Non vorremmo dire inutili, ma come tali dipinti da una efficace propaganda antagonista. Tanto che quando i governi, spaventati dalla marea montante dell’estrema destra, ma più ancora da fenomeni soverchianti come le nuove migrazioni, tentano di recuperare consensi scimiottando o praticando ciò che gli estremi reclamano – reti, barriere, “prima noi” – il modo goffo con cui lo fanno e il ritardo con cui provvedono non servono a recuperare loro voti. Come è stato scritto a proposito dell’Austria: dovendo scegliere, gli elettori hanno premiato l’originale.

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