Commento

Sovranisti: il mito dello Stato-nazione

7 novembre 2015
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Si è commentato alle Federali: voto di chiusura e di autodifesa. Doversi chiudere e difendere non è una gran bella cosa rassicurante. Rimane infatti una domanda: si può costruire una politica nazionale sulla negazione (no a questo e quest’altro), anche volendola fondare sull’affermazione della propria ‘sovranità’ da esercitare?
Il ‘trilemma’ è un’invenzione di un economista americano, Dani Rodrik. Può servirci. Sembra un triangolo svizzero. Sui lati di esso sono disposti tre obiettivi desiderabili: la sovranità dello Stato-nazione (facoltà di non essere condizionati da nessuna forza esterna, supponiamo l’Ue); la democrazia (capacità del popolo a far valere i propri intendimenti e interessi); la globalizzazione, fenomeno inevitabile (integrazione economica e finanziaria delle economie nazionali).
Rodrik dimostra che non è possibile realizzare simultaneamente quei tre obiettivi.
Si finisce per rinunciare a questo o a quello. Alla camicia protettiva dello Stato (lo Stato che è al servizio del mercato, finanziario o economico, rinuncerà agli obiettivi democratici, come la difesa del diritto del lavoro o la lotta alle ineguaglianze); al libero scambio (si contrastano le influenze globalizzatrici, le organizzazioni internazionali, per gli effetti nefasti, la sottrazione di potere, per rispondere alle proteste popolari, riprendersi la libertà di scelta); a una democrazia federativa o mondiale (non si crede a spazi politici più vasti della nazione).
Prosperano in tal modo, più del populismo, il ‘sovranismo’ e i ‘sovranisti’. Che si fondano sul mito dello Stato-nazione, grazie al quale e solo nel quale si può far funzionare la democrazia e salvare la propria identità. Quanto è ‘esterno’ o viene a turbare l’‘interno’, è da rifiutare, arginare, impedire, ridimensionare. Vale anche per i diritti, individuali o sociali, o per le possibili prestazioni dello Stato; deve sempre comunque prevalere il principio della ‘priorità nazionale’.
C’è una pacchiana contraddizione in tutto questo, che già emerge emblematicamente nel nuovo assetto politico-istituzionale. Si è lasciato sinora che capitale, merci e persino uomini si affrancassero dallo spazio nazionale e rompessero le frontiere per crescere, fare affari e moltiplicare i profitti: bisogna continuare.
I ‘sovranisti’, maggioranza, (che pure ne approfittano e non vi rinuncerebbero) deplorano invece l’eliminazione delle frontiere tra il dentro e il fuori, tra l’autoctono e lo straniero, pretendono rifiuti o controlli o solo il bene che si può ricavare. Una contraddizione che, comunque la si pensi, non dà futuro. È il miraggio claustrofilo (non claustrofobo) della Svizzera.
La libertà, figlia della sovranità, è assunta come il diritto di fare ciò che si vuole, senza intrusioni da parte di altri. Non può però sfuggire che la libertà degli uni implica delle restrizioni per altri. Anche tra nazioni. L’equilibrio tra opposti interessi è la difesa dell’interesse collettivo.
Non ci sarà quindi mai vittoria di una sola parte ‘sovrana’, perché si rimette in forse la legittimità stessa della società o si creano cinismo, fragilità, disumanità. È l’equivoco della sovranità venduta o la sovranità impossibile.

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