Commento

I profughi e l’altra Europa

7 settembre 2015
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C’è dunque un’altra Europa. Non c’è soltanto quella paralizzata dalla crisi economica, dai timori legittimi ma anche dai fantasmi indotti, dagli egoismi nazionali e dai calcoli elettorali, dalla ferocia xenofoba e dei muri alzati illusoriamente per tutelare non si sa quale etnica purezza. L’abbiamo vista e ammirata, quest’altra Europa della solidarietà, nell’accoglienza sorridente riservata a migliaia di profughi sfiancati dalle “marce per la vita” lungo le ostili rotte dei Balcani, nelle stazioni ferroviarie dei volontari accorsi per portare cibo, indumenti e calore umano, e persino nei canti dell’“Inno alla gioia” di Beethoven, l’inno dell’Unione, che sembrava ormai confinato a qualche stanca cerimonia ufficiale. Soprattutto merito di Angela Merkel, nome invocato dai migranti più volte bloccati lungo il viaggio ma ormai inarrestabili nel loro tentativo di raggiungere la Germania. Il volto della cancelliera tedesca, fino a pochi giorni fa simbolo dell’Europa matrigna, e diventato l’emblema di un’Unione che si apre ai più disperati. Qualcuno addirittura già parla, anche grazie ad un autentico slancio umanitario e popolare, di possibile atto rifondatore dell’Ue nel momento della sua massima crisi politica, economica e morale. Diamo quindi alla Merkel ciò che è della Merkel, statista ritrovata, e unica nel disorientamento europeo. Senza tuttavia dimenticare che ai buoni sentimenti si associano calcoli inevitabili, e legittimi. Frau Angela sa che gli immigrati rappresentano anche una futura risorsa demografica ed economica; ma soprattutto sa di dover trovare una soluzione per gli 800’000 profughi che il suo Paese si aspetta per il solo 2015; era dunque anche costretta a una mossa con cui trascinare tutti i partner dell’Unione ad accettare quote di migranti sulla base di un nuovo diritto europeo dell’asilo. Mossa ad alto rischio. Da una parte, i rifugiati “diventeranno presto un problema”, già anticipa lo ‘Spiegel’: “Sembra stia nascendo una nuova forma di disponibilità, non alimentata dai sensi di colpa o dal peso del passato bensì dal desiderio di fare del bene, ma quanto durerà?”, si chiede il settimanale. D’altra parte, ci sono le titubanze degli alleati, e soprattutto l’aperta ostilità dei Paesi ex satelliti dell’Urss (incoraggiati dalla Gran Bretagna) che stanno alzando la “nuova cortina” anti-immigrazione, una profonda fenditura nel cuore dell’Europa. Paesi apparentemente impegnati nella cancellazione della memoria. La memoria delle centinaia di migliaia di fuggitivi accolti all’Ovest durante gli anni del dominio sovietico; della loro inclusione nell’Ue nonostante le prevedibili tensioni che l’allargamento avrebbe provocato; dei benefici economici che proprio la libera circolazione ha loro garantito. E anche la memoria di epoche ancor più funeste. Si pensi all’Ungheria. Non c’è solo il populismo liberticida del premier Viktor Orban. C’è anche il fatto che, per l’ultima elezione del parlamento di Budapest, più di un elettore su cinque ha votato per Jobbick, l’estrema destra che non disdegna il saluto nazista e l’esaltazione dell’hitlerismo: discendenti diretti delle “Croci frecciate” che nel 1944 – l’anno della più massiccia deportazione degli ebrei da un Paese europeo verso i lager del Terzo Reich – terrorizzavano il Paese quanto e forse più dei tedeschi. Contro di loro ebbe il coraggio di agire un semplice console svizzero, Carl Lutz, a cui si deve il più massiccio salvataggio di ebrei nella Seconda guerra mondiale. Sì, abbiamo finalmente visto un’altra Europa. Ancora fragile. Ma possibile.

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