Il tema del finanziamento dei partiti torna regolarmente a far capolino subito prima e subito dopo le elezioni, per poi finire nel dimenticatoio. A meno che qualche scandaletto faccia emergere la poco casuale coincidenza fra ‘sponsorizzazioni’ e talune prese di posizione unidirezionali di taluni parlamentari. Già alle ultime elezioni cantonali abbiamo constatato quanto sia facile, proprio in questo ambito, adottare una legge e poi aggirarla, esattamente come suggerisce il famoso detto ‘fatta la legge trovato l’inganno’. Questo perché un certo numero di candidati ha speso decine e decine di biglietti da mille cercando di agguantare uno scranno nel parlamento cantonale. Ma dei loro finanziatori, come previsto dalla legge ticinese, neppure l’ombra. Come mai? Semplicemente perché la legge è stata aggirata: in certi casi spezzettando i finanziamenti ricevuti; in altri casi, facendoli arrivare a questo o quel comitato esterno (non al candidato medesimo), riuscendo così a non dover far figurare l’identità di chi ha versato al candidato X questa o quella cifra. Risultato? Non sapremo mai se quel determinato politico è veramente libero quando dice di volersi impegnare a favore di una determinata causa, perché si sa che ‘padron comanda, cavallo trotta’. Sul fronte nazionale, ora che si avvicinano le elezioni, la musica è pressoché medesima, anche se va pur detto che ogni deputato deve render palesi i propri interessi, facendo sapere in quali persone giuridiche, associazioni e gruppi d’interesse è attivo. I partiti, per contro, sia a livello federale che cantonale, non hanno particolari obblighi di denuncia dei loro finanziatori, fra i quali può figurare di tutto e di più: dalle banche alle assicurazioni, dalla farmaceutica alle casse malati, magari anche l’industria bellica, dai sindacati alle associazioni professionali ecc., a cui si aggiungono tanti piccoli versamenti di ‘semplici’ amici e simpatizzanti. Queste lacune hanno spinto di recente ancora una volta il Consiglio d’Europa a bacchettare il nostro Paese per la mancanza di trasparenza sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali evidenziando il fatto che ora siamo rimasti l’unico Stato in seno al Consiglio (dopo che la Svezia si è messa in regola) a non aver ancora legiferato in materia. Dal canto suo un servizio Ats ha riconfermato ieri che il finanziamento dei partiti rimane un pianeta oscuro, da sinistra a destra, con la sinistra leggermente più pro trasparenza. Glasnost che, in ogni caso, e questo è l’aspetto problematico, non permette agli elettori di avere a disposizione un elemento di peso nella formazione della loro volontà politica. Anzi a sentire certe argomentazioni, come quelle del Plr svizzero, secondo cui – citiamo – «questi modi di fare (permettere solo al presidente e al segretario generale di conoscere l’ammontare e la provenienza delle donazioni) rafforzano l’indipendenza del partito poiché gli eletti non sanno da dove giunge il denaro», viene semplicemente da sorridere. La verità è probabilmente un’altra: se fossero resi pubblici i nomi dei finanziatori, una buona parte di loro sparirebbe (non avendo interesse a far emergere gli stretti legami con la politica) e si aprirebbe un dibattito in seno al singolo partito sul fatto se sia opportuno o meno in certi casi ricevere contributi. Ma, non da ultimo, un effetto antinebbia lo genererebbe anche nell’elettorato, che capirebbe finalmente meglio il perché di determinate scelte in aula.