Commento

Una Svizzera ‘più normale’

6 giugno 2015
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Siamo al terzultimo atto prima dell’avvio dello scambio d’informazioni fiscali tra la Svizzera e i Paesi che hanno ratificato una Convenzione contro la doppia imposizione secondo i nuovi standard Ocse. I prossimi due passi saranno l’approvazione da parte del parlamento della Legge che regola la materia e l’eventuale referendum. Sono passati poco più di sei anni dall’ormai famoso (per i superstiziosi) venerdì 13 marzo 2009 quando l’allora consigliere federale Hans Rudolf Merz annunciò – rimangiandosi quanto aveva sostenuto fino a poche settimane prima (“il segreto bancario non è negoziabile”) – che la Svizzera avrebbe tolto la riserva all’articolo 26 del modello di Convezione Ocse in materia di scambio d’informazioni fiscali. Riserva che aveva resistito per decenni e che di fatto impediva alle autorità estere di chiedere collaborazione amministrativa alla Svizzera nel caso di sospetti fondati di evasione fiscale (sottrazione d’imposta). Collaborazione che invece veniva accordata in caso di frode fiscale (reato penale).
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata. Dalle domande di assistenza tributaria caso per caso e con tutti i rimedi giuridici che uno Stato di diritto conosce, si passerà entro il 1° gennaio del 2018 a uno scambio automatico. I cittadini stranieri non residenti in Svizzera e che detengono attività finanziarie in una banca elvetica si vedranno comunicare alla propria autorità fiscale gli estremi del conto (principalmente i saldi patrimoniali e i redditi da capitale) in modo automatico anno dopo anno. Un cambiamento di paradigma estremo per la piazza finanziaria, che farà della Svizzera ‘un Paese normale’. Almeno così ha deciso alcuni anni fa – dichiarando guerra all’evasione fiscale internazionale – il G20, vero artefice di questi cambiamenti epocali e globali.
Il segreto bancario però non cadrà del tutto. Sarà a geometria variabile: distinguendo tra clientela residente in Svizzera, residente in un Paese con il quale è stata stipulata una Convenzione contro la doppia imposizione secondo gli standard Ocse, e quella residente in Paesi terzi (senza convenzioni). Il flusso d’informazioni, inoltre, sarà ovviamente bilaterale: da e verso la Svizzera. Non è ancora chiaro – mancando ancora una base legale interna – cosa sarà dei dati provenienti dall’estero di soggetti fiscali svizzeri che hanno sostanza e redditi finanziari fuori dai confini nazionali, e che magari non hanno dichiarato correttamente al fisco la propria situazione patrimoniale. Possiamo scommettere che l’Amministrazione federale delle contribuzioni li classificherà e li custodirà gelosamente in attesa di sviluppi normativi futuri. Di certo non manderà al macero informazioni che varranno potenziale gettito, con o senza amnistia fiscale federale.
Ma il Consiglio federale ieri non ha adottato solo il messaggio legislativo sullo scambio automatico d’informazioni. Ha pure inviato alle Camere la proposta di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’Ocse sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, testo firmato da Berna nell’ottobre del 2013. Tale convenzione disciplina tre forme di scambio d’informazioni: su richiesta, automatico e spontaneo.
Il primo è già attuato dal 2009 (standard Ocse vigente). Il secondo riguarderà il futuro (dal 1° gennaio 2018) e coinvolgerà Svizzera e altri Stati contraenti in modo bilaterale. Il terzo introduce un concetto assolutamente nuovo per la cultura amministrativa svizzera e va, per certi versi, oltre lo scambio automatico. L’autorità fiscale svizzera e le altre dei Paesi aderenti alla Convenzione multilaterale si impegnano a scambiarsi documenti giudicati fiscalmente interessanti per un altro Stato. Non solo i dati bancari, quindi, ma tutto ciò (per esempio quanto contenuto in registri automobilistici, nautici e immobiliari) che potrà servire a determinare correttamente reddito e patrimonio di contribuenti di altre giurisdizioni.
L’ultimo tassello per ‘normalizzare’ la Svizzera è costituito, infine, dalla cosiddetta ‘Riforma III dell’imposizione delle imprese’, anch’essa trasmessa ieri al parlamento. Una norma d’ispirazione Ocse tesa a evitare statuti fiscali privilegiati per le società holding. Un modo per limitare la concorrenza fiscale internazionale ‘dannosa’ ed evitare ‘tassazioni à la carte’ di imprese multinazionali (il caso Luxleaks insegna).
Il prossimo sarà un mondo più trasparente e forse – non è certo – meno ospitale per gli evasori, ma non per forza più giusto.

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