Commento

Matteo Renzi vince ancora su avversari brocchi

5 maggio 2015
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Matteo Renzi ha vinto la prova di forza a cui si era ridotto il dibattito su una nuova legge elettorale in Italia. In un’aula parlamentare abbandonata dalle opposizioni, un simulacro del Partito democratico ha votato un testo indigesto a una cospicua sua stessa parte. Pessimo spettacolo, ma coerente con la partitura. In realtà, la nuova legge e il percorso che ha condotto alla sua approvazione rispecchiano bene le contraddizioni del corso renziano delle cose. Renziano nel senso che sostenitori e oppositori paiono tutti irretiti dalle tecniche di questo ancor giovane eppur consumato mestierante della politica. La legge (che ormai riguarderà solo la Camera, il Senato ridotto com’è a una patacca da una riforma costituzionale che non ha avuto neppure il coraggio di abolirlo) si caratterizza principalmente per l’introduzione del doppio turno; per l’abnorme premio che assegnerà al partito con la maggioranza relativa dei voti la maggioranza assoluta dei seggi; e per il “blocco” dei nominativi dei capilista, riservando le preferenze, due, ai subalterni. Elementi dei quali i costituzionalisti andranno avanti a discutere il tasso di democraticità. Invano: impiccarsi alle tecniche elettive è spesso il modo migliore per trascurare la sostanza della democrazia e ignorare l’estesa varietà dei sistemi elettorali vigenti nei paesi democratici. Ciò che per il momento conta osservare è che il testo approvato è innanzitutto frutto di un accordo stretto tra Renzi e Berlusconi nei giorni in cui il primo rivelava in che conto tenesse il proprio partito, e quando il secondo credeva di avere sotto controllo il suo. Entrambi comunque tesi alla trasformazione in senso presidenziale (seppure nelle vesti di premierato) della Repubblica. L’implosione di Forza Italia ha poi prodotto la grottesca messinscena dei Brunetta che denunciano colpi di stato fantasma (orditi, se pure fossero veri, dal loro stesso capo, in concorso col sorridente fiorentino); dei leghisti che stracciano vesti che altri avevano già lacerato a causa del testo del loro Calderoli (con il “parlamento di nominati”), e che quello del Renzi riprende in non pochi tratti; dell’invocato ritorno alle preferenze da parte di chi in tempi meno sospetti ne denunciava la natura di “mercato delle vacche”. Ridotti infine all’irrilevanza per propria stessa mano i Cinque Stelle. Vuoto di contenuti (men che mai di contenuti di sinistra, come sarebbe lecito attendersi da un segretario Pd) e tuttavia eccellente giocoliere, Renzi li ha messi tutti nel sacco. E un testo cucitogli addosso per capitalizzare il favore di cui gode (o meglio, di cui mena vanto) si è imposto al di sopra di considerazioni che pure sarebbe stato prudente (intelligente?) ascoltare ed eventualmente recepire. Oggi Renzi può ben ripetere la gag: “il Pd cosa?”. Ma il domani arriva spesso troppo presto per chi, tronfio, scambia per proprio valore un cappotto rifilato a una squadra di brocchi. In politica, ma ancor più nella storia di una nazione, il guasto prodotto in un giorno si riverbera per un tempo che non si può calcolare con anticipo, e che quando “va male” è sempre troppo lungo. Questa legge non è un colpo di stato, ma un colpo di autoritaria mediocrità. Grave, come si scrisse, ma non seria.

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