Commento

Senza una donna

21 aprile 2015
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Toh, guarda non abbiamo più una donna in governo! Ma chi ci ha mai pensato che saremmo tornati a prima del 1995, quando l’Esecutivo era al cento per cento maschile? E proprio qui sta il problema: nessuno. O meglio, qualche candidata ci ha provato: ha portato avanti con tenacia la propria bandiera e il proprio volto sulle liste, dicendo anche (in punta di piedi) che era l’unica donna ad avere qualche eventuale chance di successo, che di donne ce n’erano poche, che aveva alcune cose da dire che le stavano a cuore anche perché donna. Ma per carità che non disturbasse troppo! E così, a vent’anni dall’entrata di Marina Masoni, eccoci all’uscita di Laura Sadis, e al ritorno di diverse tonalità di grigio di cinque uomini più o meno incravattati che poseranno per la foto di rito. Niente contro giacche e cravatte: c’è anche chi si presenta casual e oggi punta su qualche colore in più. Ma purtroppo il problema di fondo non sta nella forma, bensì nella sostanza. La verità è che il tema della promozione della donna, le cui radici storiche affondano nel Novecento e nella lunga lotta per la conquista del diritto di voto, non è più così di evidenziato. O meglio, nello specifico caso ticinese, è stato superato da altri argomenti, che sono stati quelli trainanti di una campagna invero poco piazza di dibattito, quanto piuttosto - lo si è detto – piazza di aperitivi, di incontri conviviali attorno ai candidati, ai loro santini e ai loro gadgets. Ci vuole anche questo, ma ci vuole anche dell’altro per far progredire il paese. Ci vogliono soprattutto le idee. E le idee fioriscono anche portando molte più donne dentro i santuari della politica. Portandole ai vertici, là dove sono ben visibili e non soltanto a popolare i piani intermedi. Ma la realtà 2015 qual è? Zero ministre, ma per fortuna – respiriamo un po’ - 22 deputate (più 8) su 90. Qualcuno dirà: bé, se non c’erano candidate valide per la stanza dei bottoni, o se il popolo ha deciso altrimenti, vuol dire che va bene così. Davvero? E’ vero che ci sono donne che fanno politica esattamente come gli uomini. Senza mettere l’accento su temi (erroneamente) ritenuti più femminili e (non a caso) anche considerati più deboli. Poco importa: anzi, secondo noi, è giusto che ognuna si batta per quello che crede, che vada a destra o a sinistra, che scelga lei e, se se la cava meglio con le cifre e le finanze che con le questioni sociali o ambientali o di sanità, va benissimo così. Abbiamo avuto una brava ministra delle finanze, che ci ha lasciato in ordine le casse del cantone in un periodo di vacche magre e mutamenti epocali tuttora in corso. Lei, come le altre ministre, Masoni (che era indubbiamente una leader), e Pesenti, hanno dimostrato che una donna ci sa fare. E che sa anche far quadrare tanti cerchi, fra famiglia, professione e, per l’appunto, la politica. Cerchi che sono esperienza umana, denti stretti e maniche rimboccate, quando occorre. Donne che sono emblemi per tante altre, quelle già in marcia o quelle ancora ai blocchi di partenza. La nostra impressione, al di là del consolante risultato in Gran Consiglio, è che in Ticino il tema della presenza femminile figurava in vetrina finché lo spirito del momento lo faceva apparire quale accessorio indispensabile per la promozione del proprio ‘prodotto politico’ e per non apparire trogloditi. Tirato fuori una volta all’anno l’8 marzo con qualche statistica sulle disparità uomo/donna, o considerato ormai metabolizzato perché una volta abbiamo avuto persino 4 consigliere federali (e quindi cosa volete ancora?), ecco che le segreterie dei partiti e anche i media se ne sono ora interessati meno. Chi domenica ha vinto due poltrone non passa poi per un partito che abbia mai portato le donne sul proprio scudo. Anzi, parecchie sono state quelle derise come donne, perché la pensavano diversamente. Non vogliamo rinvangare tempi (speriamo) andati, ma ai suoi esordi la Lega cominciò col can-can di una pornodiva in Gran Consiglio, scimmiottando la vicina Italia. E adesso eccoci qui: domenica sera il dado tirato il 19 aprile nell’Esecutivo ci ha riportati alla casella di partenza. Ieri è arrivato ossigeno dal Parlamento. Ma il clima (e la lentezza dell’incedere, sono passati 44 anni dall’ottenimento del diritto di voto) ci fa dire come la battaglia per la parità di opportunità fra uomo e donna sia fatta della stessa sostanza di quella per la democrazia. Mai abbassare la guardia. Mai crederla vinta una volta per tutte.

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