Commento

Un programma, non un'alleanza

28 marzo 2015
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Non basta chiamare in causa il ‘franco forte’. Come si possa parlare seriamente di ‘condizioni quadro’ per la piazza economica elvetica, facendo astrazione dal modo in cui verrà attuata l’iniziativa ‘contro l’immigrazione di massa’ (ovvero: dal futuro della libera circolazione e della via bilaterale), è un mistero.
I presidenti di Udc, Plr e Ppd ci sono riusciti: lasciando chiuse in un cassetto le profonde divergenze su temi (Europa e immigrazione) cruciali per il presente e l’avvenire dell’economia svizzera, Toni Brunner, Philipp Müller e Christophe Darbellay ieri hanno scodellato l’annunciato ‘pacchetto per la deregolamentazione’. Tredici punti che in sostanza ripropongono le solite ricette economiche borghesi: Stato snello, fisco leggero, meno burocrazia.
Ognuno ha dovuto cedere qualcosina (ad esempio: non si parla di abbassare le imposte, cavallo di battaglia soprattutto dell’Udc, ma ‘solo’ di non crearne di nuove nei prossimi cinque anni). E l’intesa su alcune misure può anche sorprendere a prima vista: come il voto popolare entro la fine del 2017 sulla ‘Strategia energetica 2050’ (caldeggiata dal Ppd, avversata da Udc e Plr), oppure l’appello comune a imprese e settore pubblico a voler applicare da subito e su base volontaria il principio della ‘preferenza nazionale’, contrario – ma solo dal momento in cui dovesse essere sancito per legge – alla libera circolazione delle persone.
Il ‘pacchetto’ presentato ieri non è altro che un minimo comun denominatore, una lista di desiderata in ambiti ben definiti da promuovere puntualmente in parlamento (se i rispettivi gruppi lo vorranno, cosa non scontata), e sui quali i tre partiti borghesi spesso e da tempo ormai si trovano fianco a fianco, sia sotto la cupola di Palazzo federale che in sede di votazione popolare. Da qui a farne l’embrione di un’alleanza borghese sul piano politico, ce ne passa.
Non ingannino i sorrisi, le pacche sulle spalle, le strette di mano e le firme davanti a telecamere e flash, i ‘caro Toni...’, ‘caro Philipp...’, ‘caro Christophe...’, cui abbiamo assistito ieri. Né le parole dei protagonisti (Brunner: «Molto fiero del risultato»; Darbellay: «Segnale forte al parlamento e agli altri partiti»), o quelle di chi (il presidente del Ps Christian Levrat) oggi ha buon gioco nell’enfatizzare «l’assoggettamento» di Ppd e Plr all’Udc e il peso politico dell’intesa («con questa manovra Ppd e Plr perderanno le elezioni»), per rilanciare il proprio partito quale unico paladino di una Svizzera aperta, solidale e moderna.
In realtà – lo si è visto anche durante la recente sessione delle Camere – quando in gioco vi sono questioni che definiscono l’identità di un partito (espulsione dei criminali stranieri per l’Udc, famiglia per il Ppd, non si sa bene quale per il Plr...), le spaccature nel campo borghese oggi sono evidenti. Siccome proprio questi sono i temi cavalcati in vista delle elezioni, e poiché non vi sarà alcuna congiunzione di liste generalizzata tra Udc e Plr, nei prossimi mesi salvo sorprese è lecito non aspettarsi grandi sviluppi da questo programma economico borghese.
La campagna elettorale è stata lanciata ieri in comune, ma da qui al 18 ottobre i tre partiti andranno avanti ognuno per la sua strada. Poi si vedrà.

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