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Ti-Press
4 giugno 2021
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A temperare l’angoscia e la preoccupazione per i fatti degradanti di questi giorni al Macello di Lugano è un importante e autorevole volume inviatomi, quale omaggio e in segno di simpatia, da Mario Botta. Il libro, dal titolo “Tracce di una scuola” è un avvincente susseguirsi di pagine di testo ragionato, di riflessioni dell’autore e di fotografie d’opere architettoniche studiate e concepite dal 1996 al 2002 all’Accademia di architettura di Mendrisio. Alla pagina cinquantaquattro dell’opera, troviamo una fotografia dell’ex macello pubblico di Lugano la cui area e le strutture, nel 1993, erano considerate quale quarta opzione per l’insediamento dell’Accademia. Il Consiglio di Stato decise per Mendrisio e il destino volle che il mattatoio sia stato occupato da giovani alternativi probabilmente non abituati a tener conto del senso allegorico del nome e della destinazione primitiva dell’edificio scelto. Tuttavia i giovani, occupanti abusivi, hanno elevato la funzione di un edificio in cui si ammazzava a una scuola di vita e di creatività costruttive spesso realizzate con idee sorte e discusse in sedi alternative e non istituzionali. L’accademia di Mendrisio, grazie a Mario Botta, fu fondata non come università ma come un’associazione permanente di studiosi, istituita con lo scopo di curare e promuovere l’architettura percepita consapevolmente e liberamente come arte più che come nozione sicura, costante e stabile. Il concetto coincide approssimativamente con ciò che i molinari intendevano e si prefiggono di fare, anch’essi liberamente, senza vincoli istituzionali nei campi della politica, della musica e della rappresentazione dell’esistenza all’interno di una sede pubblica, libera da vincoli. Da considerare che l’accademia dell’età classica, dove Platone, verso il 387 a.C., iniziò il suo insegnamento, era scuola e nello stesso tempo associazione religiosa. Ciò può essere richiamato come riferimento per valutare l’atteggiamento degli “alternativi” ospitati all’ex macello che reiteratamente hanno rifiutato il colloquio con i gestori del Comune di Lugano. Gente, impura, immorale e scostumata sono gli amministratori pubblici per i giovani e gli adulti che non accettano la monetizzazione della cultura e la sottomissione della politica ai principi dogmatici d’impresa. Nel campo avverso, dopo lo straripare incontrastato del pensiero leghista, l’autorità comunale sembra suggestionata dal successo di Israele nell’opprimere i palestinesi, perciò decide, in modo poco trasparente e violando regole consensualmente accettate e valide per tutti, di radere al suolo, nottetempo. La protezione dello scempio è assicurata da una polizia, militarizzata dal Caudillo, direttore del Dipartimento delle istituzioni e da un ex colonnello dei granatieri, un istituto culturale alternativo. Il luogo del massacro metaforico della libertà culturale è perlomeno surreale: è presente una donna, sedicente liberale, silenziosa e infida come il volo di un rapace notturno. L’onorevolessa, municipale fresca di nomina, dichiara alla stampa che l’istituto doveva essere abbattuto per evitare che i ragazzi salgano sul tetto. Il giorno successivo questo quotidiano definisce in prima pagina e su tre colonne la demolizione e lo sgombero come atroci. Poteva essere previsto? I segnali, come l’arresto con procedure intimidatorie di un prete ultraottantenne assolutamente inerme e il suo vescovo che tace non sono sufficienti per capire l’aria che tira? La scomparsa dei radicali e l’abuso che il partito liberale fa conservando quest’aggettivo non significano proprio niente? L’abiura poi dei pipidini che detestano l’aggettivo di cristiano e lo cancellano dalla loro denominazione tedesca è da prendere alla leggera? come il Ps quando rifiuta il marxismo quale riferimento, ignorando che è figlio dell’illuminismo? E la magistratura, sempre accorta e timorosa quando deve chiamare in causa il dipartimento in cui è inserita, questa volta fa sul serio il suo compito? oppure ha messo le transenne attorno alle macerie per evitare che i molinari raccolgano delle reliquie o vi depongano fiori? Sono domande queste che si respirano nell’atmosfera tesa e pesante di una città che ancora ha nostalgia di una ricchezza facile, dovuta alle disgrazie dei nostri fratelli del sud, malgovernati da uno Stato rapace e quasi obbligati a depositare nelle banche di Lugano i loro risparmi. Tuttavia bisogna riconoscerlo: il Sindaco Borradori ha superato i suoi amici medio orientali quando “correttamente” annunciano le loro intenzioni agli inquilini degli stabili di Gaza in procinto d’essere abbattuti per dar loro la possibilità di prendersi le cose più care e metterle al sicuro. Di cose preziose ve ne erano molte in un edificio che, come scrisse Claudio Lo Russo nell’editoriale della Regione dello scorso 1 giugno vi era anche il “…corpo di un’idea di cultura capace di farsi motore d’informazione, di riflessione critica su di noi e sul mondo, di ridefinizione consapevole della posizione che intendiamo occuparvi”.

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