I dibattiti

Commissione d'inchiesta, 'Giustizialismo non è giustizia'

Natalia Ferrara sulla bocciatura della Cpi: 'Chi strumentalizza le sofferenze non le rispetta, e lo spettacolo offerto dopo il dibattito lo dimostra'

Natalia Ferrara (Ti-Press)

Da più di una settimana, tiene banco il tema della Commissione parlamentare di inchiesta (CPI), che il Gran Consiglio ha deciso di non istituire. La legge prescrive la necessità di una maggioranza assoluta (46 voti), i favorevoli, alla fine, erano 37. Il Partito liberale radicale, sin dal principio, si è detto contrario e ha spiegato pubblicamente e ripetutamente, più volte negli scorsi mesi, per quali motivi questo strumento non fosse adatto a trattare questa delicata tematica. I fatti risalgono a 15 – 20 anni fa, il processo penale a carico dell’ex funzionario del DDS è ancora pendente (l’appello è previsto per novembre), dall’inchiesta penale e dagli accertamenti amministrativi del Governo non è emersa nessun’altra responsabilità da parte di altri funzionari dell’amministrazione. Questi i fatti accertati. Le illazioni, del PPD e della Lega, che gridano allo scandalo, all’insabbiamento e chi più ne ha più ne metta, rappresentano le scomposte reazioni di chi non solo non ha avuto in aula argomenti oggettivi tali da convincere il Parlamento ma nemmeno si è guadagnato la fiducia di tutti i membri dei rispettivi partiti. Dadò e Bignasca, in prima linea in questa caccia alle streghe, dimenticano di dire che i liberali radicali non fanno la maggioranza, neanche, come pretendono loro, “a braccetto con il PS”. Contro la CPI, oltre ai PLR e ai socialisti, si sono espressi deputati e deputate comunisti, dei Verdi, nelle fila UDC e PDD. Senza contare che vi sono stati diversi astenuti, o che non hanno espresso il proprio voto, anche nella stessa Lega. Tutti insabbiatori? Tutti omertosi? Più di 40 esponenti di tutte le aree politiche?

La teoria del complotto farebbe sorridere, se non fosse riferita ad un tema così delicato. Dadò e accoliti fanno credere – passando da un media all’altro e soprattutto sollazzandosi sui social – che, a causa nostra, stupratori, pedofili e via narrando hanno potuto commettere gravissimi reati sessuali a palazzo e sono a piede libero. Accuse gravi, lanciate in rete per suscitare tempeste prevedibili. I processi si fanno invece con i fatti e nelle aule di Tribunale, non in Parlamento e con le invettive. Purtroppo, alcuni deputati durante il dibattito pro CPI hanno accusato persone assenti di aver saputo, taciuto e, in fondo, permesso che si commettessero degli abusi sessuali. Ancora una volta, niente di più falso. Gli stralci della sentenza di primo grado, a cui abbiamo avuto accesso come membri della Commissione gestione e finanze, raccontano un’altra storia. Triste, eccome, ma che non riguarda nessun insabbiamento, né allora da parte di funzionari, né tantomeno oggi da parte di parlamentari. Il commento verbale del giudice di primo grado in occasione della lettura della sentenza è rimasto tale, senza nessun riscontro oggettivo a carico di altri funzionari oltre a quello già sotto processo. Questo è per altro stato confermato a più riprese dal Governo. Anche nell’Esecutivo tutti insabbiatori? Tutti omertosi?

L’unico altro processo, quello sui social, promosso da Dadò al termine della seduta gran consigliare, mette al centro foto e video, che a suo avviso dimostrano come il giubilo di alcune deputate e deputati sia in spregio alla serietà del tema e che, in fondo, noi si era contenti non per la mancata istituzione della CPI ma per aver insabbiato dei reati sessuali. Di nuovo, niente di più falso. Il dibattito in aula è stato lungo, pesante e ampiamente strumentalizzato, soprattutto da esponenti del PPD, evocando ad esempio atti sessuali su una bambina, quando, nel caso in questione, si è trattato (purtroppo, ovviamente) di una coazione sessuale in danno di una giovane donna. Attenzione: non sto minimizzando, non sto dicendo che ciò non sia gravissimo, solo che non è possibile mescolare tutto.

Nel dibattito è stata invocata persino la giustizia divina per supplire alle presunte deficienze di quella terrena. Sì, alla fine, dopo aver sentito con quale superficialità e semplificazione taluni volevano a tutti i costi la CPI per rifare un processo senza averne capacità e competenza, coloro che hanno votato no erano sollevati. Molto sollevati. Non certo degli abusi avvenuti, naturalmente, non della sofferenza delle vittime, naturalmente. Semplicemente sollevati perché alle sofferenze delle vittime non se ne sarebbero aggiunte altre, dettate dall’incapacità di gestire temi così delicati, dall’impossibilità di proteggere chi aveva già patito, i suoi racconti intimi, i nomi, le storie personali. Chi strumentalizza le sofferenze non le rispetta, e lo spettacolo offerto dopo il dibattito parlamentare lo dimostra, una volta di più.

Chi ha votato contro la CPI ha scelto la strada più difficile, quella di non cavalcare l’emozione e l’indignazione (comprensibile!) della cittadinanza. Il giustizialismo e la giustizia sono incompatibili. Nel mio intervento in aula ho ribadito quanto sostenuto per mesi all’interno della Commissione della gestione: invece di una CPI sarebbe (stato) meglio chiedere al Consiglio di Stato (e poi discuterlo) un rapporto che spieghi in modo coordinato come, all’interno dell’amministrazione, si gestisce il tema delicato delle notizie o delle situazioni soggette o potenzialmente soggette a obblighi di denuncia al Ministero Pubblico.

Come, con quali procedure, quale documentazione, quali criteri, quali competenze? Peccato che a Dadò allora ciò non interessasse, mentre oggi si fa promotore addirittura di un audit esterno e di mille asserite misure di prevenzione. Meglio tardi che mai, come si suole dire. Solo questo ridurrà il rischio che in futuro accadano nuovamente casi simili. Procedure chiare e coraggiose, un buon sistema di prevenzione e sensibilizzazione a tappeto. Il resto sono strumentalizzazioni politiche di bassa lega, stavolta, purtroppo, venute dal PPD.

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