I dibattiti

Locarno festival, la ‘fretta’ di Marco Solari

Non esistono scuole per direttori di festival, e il mercato del lavoro è limitato, ma nella scelta non si possono dimenticare le specificità di Locarno

Il presidente Marco Solari e la non più direttrice artistica Lili Hinstin alla cerimonia di apertura di Locarno2020 (Ti-Press)
29 settembre 2020
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Molto è già stato scritto su questo rapido divorzio, anche se purtroppo gli elementi di discussione sono pochi, molto pochi.

Uno stringato comunicato che parla di “divergenze strategiche”, un prima edizione del festival organizzata in fretta (non dimentichiamo che Lili Hinstin ha lasciato il precedente incarico a inizio 2019) e una edizione anomala, fortemente condizionata da lockdown e i suoi strascichi) e voci di corridoio che parlano di incomprensioni, rigidità, scarsa volontà di dialogo. Chi era presente alla serata inaugurale dell’edizione di quest’anno non ha potuto non notare la freddezza di sguardi tra presidente e direttrice, e la plateale volontà di Solari di mostrare il suo disappunto.

Frequento il festival da più di 50 anni, dapprima come studente e appassionato, poi per più di 40 come giornalista e critico cinematografico, ho lavorato per due anni nella struttura dell’ufficio stampa, tre come consulente del presidente Rezzonico e quattro come membro della commissione artistica, ho conosciuto 12 dei 13 direttori dal 1966 a oggi, ho frequentato professionalmente i maggiori festival europei, mi sento quindi autorizzato a fare alcune riflessioni.

Non conoscevo personalmente e professionalmente Lili Hinstin prima del suo arrivo a Locarno, né conoscevo il Festival di Belfort – l’unica sua esperienza in ambito festivaliero – e non conosco tutti i nomi della rosa di candidati tra cui Lili Hinstin è stata scelta, non posso dunque dire se sia stata la scelta migliore o c’erano altre candidature più valide, però posso dire che ho l’impressione, conoscendo Solari, che sia prevalsa la voglia di risolvere il problema al più presto per dimostrare efficienza ed efficacia.

Non esistono scuole per direttori di festival, e in questo settore il mercato del lavoro è sicuramente limitato, ma nella scelta non si possono dimenticare le specificità del festival di Locarno e la sua “svizzeritudine”.  Nella storia del festival ci sono stati altri direttori “stranieri” come Müller, Bignardi, Père e Chatrian ma tutti conoscevano già direttamente o indirettamente Locarno o hanno avuto l’umiltà e l’intelligenza di confrontarsi con chi conosceva questa realtà, di accettare consigli, senza volontà di imporsi, senza presunzione.

La prima edizione gestita da Lili è stata “normale” senza gloria e senza infamia, però è subito emerso un vizio di fondo, vizio purtroppo tipico di certi ambienti parigini, un predominio della cultura cinematografica francofona e una limitata apertura al resto del mondo. 

Sulla edizione di quest’anno posso dire poco, troppo condizionata dal coronavirus, in cui l’assenza di pubblico, nel bene e nel male il vero e unico protagonista del festival, ha completamente snaturato la manifestazione, e l’eventuale successo online dimostra unicamente l’esistenza nel mondo di un universo cinefilo, ma non giustifica una macchina organizzativa come Locarno.

Dunque archiviata la meteora la meteora Lili, rimane il problema della futura direzione, e del futuro stesso del festival.

Il mondo dei festival mondiali è in continua evoluzione, molti si domandano che senso hanno ancora questo tipo di manifestazioni, e la situazione attuale rende ancora più complesso questo dibattito.

Ha ancora un senso un festival come Locarno in cui il rapporto diretto con il pubblico  è un elemento fondamentale, culturalmente ed economicamente?

In particolare Locarno, con la sua vocazione di privilegiare il cinema d’autore senza però trascurare quel tipo di cinema amato da quel pubblico che durante l’anno frequenta la sale e vuole un po’ di glamour, deve fare una profonda riflessione sul suo futuro.

Solo così potrà sapere che tipo di direttore vuole e fare tranquillamente, la sua scelta, senza paura di metterci un mese in più.

E forse è necessaria anche una riflessione sulla sua organizzazione, perché un festival giovane ha bisogno di un continuo rinnovamento in un rapporto continuo e creativo di esperienza/innovazione.

Perché come diceva Esopo, “la cagna frettolosa fa figli ciechi” anche se poi nel detto popolare la cagna è diventata gatta… 

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