Il dibattito

Solidarietà, non conflitto generazionale!

La solidarietà scomparirebbe se fosse alimentata da una mentalità negativa

1 aprile 2020
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Un articolo del signor Franco Ambrosetti, apparso sul Corriere del Ticino del 30 marzo, dal titolo 'Pandemia: non ho l’età per uscire di casa', nel quale, con accenti appassionati e a volte virulenti, si lamenta il trattamento che sarebbe riservato dalle autorità agli anziani nella lotta contro il coronavirus, induce il sottoscritto (per inquadrare la situazione: età anni 81) a qualche riflessione, per contestare le opinioni espresse in questo scritto. Nel quale si lamenta il fatto che il Consiglio di Stato ticinese, circa le spese nei grandi magazzini da parte di chi ha più di 65 anni, ha previsto sanzioni per chi non rispetta il decreto, asserendo che l’autorità cantonale ha deciso di affrontare l’emergenza coronavirus in modo 'iniquo e aleatorio' e proseguendo che 'è un regalo non gradito, è umiliante, anzi, è un insulto all’intelligenza e alla sensibilità di ogni anziano'. Chi ha un minimo di sensibilità, capisce immediatamente che non è con simili affermazione che si fanno gli interessi dei seniores (a prescindere dal fatto che in una contingenza drammatica come questa gli interessi da difendere sono unici per tutta la popolazione). Oltretutto, le sanzioni, comunque miti, sono intese a rendere più significativo il provvedimento, preso a esclusiva tutela delle persone anziane, e non certo per punirle o umiliarle. Infatti sono esse a venir più facilmente colpite dal virus, da cui un’accentuata protezione. Inoltre, l’articolo citato pretende che sarebbe nelle viste dell’autorità sanitaria una discriminazione degli anziani per i ricoveri nei reparti di terapia intensiva, da lasciar liberi per più giovani, a scapito soprattutto di chi si trova nella case di riposo. A parte il fatto che queste illazioni, allo stato attuale, sono senza fondamento, è fuori luogo asserire che sarebbe in atto una discriminazione tra pazienti di serie A e di serie B. I pazienti sono tutti uguali: quel che potrebbe cambiare, nella misura in cui si registrasse, contrariamente alle aspettative, un picco molto forte della pandemia, è un diverso trattamento, a dipendenza delle probabilità di guarigione, ed è ovvio che, in via generale, la popolazione non anziana avrebbe migliori prospettive per una cura radicale.

Pericoli e fratture che non esistono

È inaccettabile, come fa l’articolista, asserire che 'questa politica della sanità sta creando un divario pericoloso tra giovani e anziani' e che 'non servono tensioni in un momento così difficile'. Il divario e le tensioni semmai le crea chi, invece di cooperare con le autorità, cui spetta un compito particolarmente arduo, invoca pericoli inesistenti e fratture tra generazioni che non esistono. Del resto, il problema va visto da un profilo generale; di fronte a una situazione che comporta numerosi decessi, molti dei quali inevitabili, va forzatamente compiuta una scelta: salvare le vite delle generazioni anziane o di quelle più giovani. Partendo dalla constatazione che i giovani hanno di gran lunga le migliori chances di guarigione, si aggiunge che essi hanno ancora davanti a sé una vita intensa, e che hanno le più grandi responsabilità: di ordine familiare (coniuge e figli) innanzitutto, ma anche per quanto attiene al lavoro e alla vita sociale, e più in generale al progresso del paese. Con queste premesse, una diversa linea di condotta sarebbe, da parte di tutti, irresponsabile.

Divario? Macchè!

È quindi da rifiutare l’idea che l’attuale politica della sanità stia 'creando un divario pericoloso tra giovani e anziani'. Se è giusto asserire che 'non servono tensioni in un momento così difficile' occorre pure affermare che semmai le tensioni sono create da chi scambia per mancanza di 'deferenza' e di 'riguardo' dei provvedimenti che voglio essere proficui a tutta la popolazione, ed in primis a coloro che più sono esposti ai rischi del virus: gli anziani, appunto. Lanciando tra l’altro accuse demagogiche e proclamando che, noi anziani, 'non siamo una categoria di incoscienti né tantomeno di scriteriati'. Le nostre autorità, sia federali sia cantonali sia comunali, hanno insistito, già all’inizio della pandemia, sul concetto di solidarietà, indispensabile per fronteggiare una situazione imprevista e  dolorosa per la collettività. La solidarietà di qualsiasi tipo e tra qualsiasi gruppo sociale, tenuto conto della drammaticità che potrebbe favorire la nascita di contrasti e di egoismi, ha funzionato. Pensiamo, ad esempio, alla disponibilità dei giovanissimi per provvedere ai bisogni degli anziani, specie per le spese. La solidarietà però scomparirebbe se fosse alimentata una mentalità negativa, propizia a quel conflitto di generazioni che sarebbe la fine non solo di una efficace lotta contro il virus, ma anche della convivenza civile.

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