Il dibattito

I boschi dei nuovi amori

Mi chiedo come usciremo da questo isolamento. Una rivoluzione ci salverà?

In questi giorni, quando esco dalla yurta di isolamento che è diventata casa mia, dove si tengono lunghe sessioni di yoga, pigri pomeriggi di lettura, serate cinema e discussioni animate a cinque, mi immergo nei boschi per cercare un po’ di solitudine. I boschi sono bellissimi, ora: il verde delle prime foglie sugli alberi e nei tappeti erbosi fa pensare agli amori nuovi. Tutto è rinnovamento, incanto e mistero che si svela. Come i nuovi amori, però, nell’estasi si nasconde l’insidia. Tutto ciò che è nuovo attira e riluce, ci chiama fuori da noi dandoci l’illusione di un nuovo inizio. Ma è, appunto, un’illusione: la vita si rinnova restando sempre la stessa. Così come una betulla mette nuove foglie ma non diventerà mai un nocciolo o una quercia, così noi ci rinnoviamo costantemente ma non mutiamo la nostra essenza profonda. Ogni sette anni non abbiamo più una cellula uguale a ciò che eravamo sette anni prima. Eppure, se pensiamo a quando eravamo bambini e al nostro adesso: siamo sempre noi! Perciò non mi piace il termine “cambiamento”, e preferisco lo junghiano “individuazione”, o approfondimento di ciò che si è. Dobbiamo trovarci, non cambiarci. Invece, la nostra società ci spinge incessantemente verso il cambiamento, perché il rinnovamento ci trasforma automaticamente in bravi soldatini dell’economia: quando si cambia, si è indotti ad investire, ad acquistare, a proiettare verso l’esterno un rinnovamento che sentiamo provenire dall’interno. Come i nuovi amori, che vincono il premio assoluto nel processo di dispersione dell’energia: nuovo amore, nuovi abiti, nuovi ristoranti, nuove case, nuovo tutto. Fino al prossimo senso di vuoto, di fallimento o di delusione. Fino all’autunno, quando le foglie cadono e rivelano l’inganno dei nuovi amori. Questo discorso è estremamente disturbante persino alle mie orecchie, perché va contro il mainstream e rischia di venir visto da un punto di vista moralistico-bacchettone. Non è questo, andiamo oltre.

Penso che i nostri giorni migliori sono quelli in cui siamo innamorati: lo sguardo un po’ sognante, la voglia di vivere, l’energia sottopelle. L’abbiamo sperimentato con una persona che ci ha fatto intravvedere l’esistenza di una realtà diversa da quella che conoscevamo, ed è stato bellissimo. Poi, è passato. A volte con dolore e patimenti, altre trasformandosi in scelta quotidiana, ovvero in amore. Ciò che resta quando il nostro amato è finito sotto un tram ed è rimasta l’ombra di ciò che era, se capite cosa intendo. Però, se abbiamo provato quella sensazione meravigliosa che è l’innamoramento, sappiamo che ci rende simili a dei: intoccabili dalle umane debolezze, incuranti delle critiche, colmi di energie e di un senso di bontà e di generosità capace di inondare il mondo. Sappiamo anche che l’innamoramento è una fase passeggera, e che ci lascerà in preda a dubbi, rimorsi e rimpianti, quando non proprio con tutte le ossa rotte e la febbre alta. Eppure, sappiamo anche che senza l’innamoramento, la vita non varrebbe la pena di essere vissuta. Che si tratti di una persona, di un figlio, di un animale, di un progetto, di un’idea, di un luogo, di un libro, di qualsiasi cosa abbia senso per noi. A questo penso, guardando il verde tenerissimo delle foglie in questa strana primavera.

Mi chiedo come usciremo da questo isolamento, e mi piace pensare migliori, consapevoli di verità arcane che fanno capolino nei momenti critici dell’umanità. Momenti nei quali escono alla luce i valori dell’umanità, della solidarietà, della moderazione e della sobrietà…l’esatto contrario del luccichio malato di quel carrozzone di lusso e di assenza di morale che è diventata la nostra società capitalista e consumista. Ma non mi illudo che sarà così: o meglio, lo sarà per una parte dell’umanità, che resterà probabilmente ancora minoritaria rispetto alla grande maggioranza obnubilata dalla follia dei viaggi low cost, del turismo di massa, degli aperitivi-cena e degli influencer. Cosa possiamo fare, minoranza di camminatori a piedi nudi sulla terra? Come possiamo fare per cancellare dalla faccia della terra la mancanza di rispetto, i saloni per le unghie finte, l’industria della moda che non paga le tasse, la merce prodotta a discapito del rispetto dei lavoratori e dell’ambiente, i trasporti insensati, gli stipendi miliardari dei manager e tutto ciò che ben sapete ?(ok, le unghie finte sono il meno dei mali ma sono significative di un modo di intendere la vita…)

La risposta è, ovviamente, una rivoluzione. “Una rivoluzione ci salverà” è il titolo del libro di Naomi Klein in cui illustra come Il capitalismo non sia più sostenibile. A meno di cambiamenti radicali nel modo in cui la popolazione mondiale vive, produce e gestisce le proprie attività economiche, con i consumi e le emissioni aumentati vertiginosamente, non c'è modo di evitare il peggio. Cosa fare allora? Il messaggio è dirompente: si è perso talmente tanto tempo nello stallo politico del decidere di non decidere, che se oggi volessimo davvero salvarci dal peggio dovremmo affrontare tagli così significativi alle emissioni da mettere in discussione la logica fondamentale della nostra economia: la crescita del PIL come priorità assoluta. "Non abbiamo intrapreso le azioni necessarie a ridurre le emissioni perché questo sarebbe sostanzialmente in conflitto con il capitalismo deregolamentato, ossia con l'ideologia imperante nel periodo in cui cercavamo di trovare una via d'uscita alla crisi. Siamo bloccati perché le azioni che garantirebbero ottime chance di evitare la catastrofe - e di cui beneficerebbe la stragrande maggioranza delle persone - rappresentano una minaccia estrema per quell'élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e di molti dei nostri media. La via d'uscita che intravede Naomi Klein non è una Green Economy all'acqua di rose, ma una trasformazione radicale del nostro stile di vita. La buona notizia è che molti di questi cambiamenti non sono affatto catastrofici; al contrario, sono entusiasmanti. Ma noi non sappiamo fare la rivoluzione, siamo troppo pacifici per farlo. E pensiamo che bastino i buoni argomenti per convincere la popolazione. Siamo stati ingenui, e l’abbiamo pagata: il potere non l’abbiamo noi, le chiavi del carrozzone sono saldamente tra le mani di coloro che hanno tutto l’interesse a farlo ripartire al più presto.

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