Il dibattito

Over 65 discriminati, basta!

Meditate ve lo suggerisce un discriminato che si ribella al letargo

(Ti-Press)
31 marzo 2020
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Il decreto emanato il 27 marzo 2020 ha rinnovato il divieto per le persone che hanno compiuto 65 anni di recarsi personalmente a effettuare acquisti e la trasgressione è punita con una multa disciplinare di CHF 100 analogamente all`Ordinanza del Consiglio federale. Solo che in quell’Ordinanza, a parte l'ingiunzione a rimanere a casa (art. 10b), non è prevista sanzione alcuna per chi dovesse disattenderla. Di conseguenza, il divieto emanato contro (un divieto non può essere mai a favore) chi ha compiuto i 65 anni è contrario al diritto federale e quindi illegale, non potendo il Cantone arrogarsi maggiori competenze di quelle federali.

Il divieto è poi ingiusto. Come ogni limite calato dall’alto quello dei 65 anni è infatti più che opinabile, dato che fa astrazione dallo stato valetudinario delle persone e dal fatto che negli ultimi decenni le speranze di vita si sono, e di molto, allungate. Oggi come oggi un 70enne è come un 60enne di pochi lustri or sono, tant'è vero, ad esempio, che l'età della visita medica di controllo per i conducenti anziani è stata recentemente innalzata a 75 anni. Non solo. Dai dati della pandemia risulta che il coronavirus colpisce tutti, che la media delle persone infette è di 51 anni (www.swissinfo.ch) e che l'infezione si diffonde nelle case per anziani, dove vige il confinamento e l'isolamento. Il divieto è inoltre incoerente, consentendo di uscire di casa per svolgere attività motorie nel rispetto delle norme igieniche e distanze sociali, che sono identiche a quelle che valgono per chi si reca a provvedere. Per il che il divieto appare arbitrario. Il principio di proporzionalità avrebbe imposto di fissare delle fasce orarie in cui permettere l'accesso ai negozi, specie mattutine che sono più consone a chi è in là con gli anni e tendenzialmente si sveglia presto. Ma tant'è. Il divieto è stato diffuso come le gride manzoniane, rafforzato da misure da Stato di polizia e non di diritto, come il controllo dei documenti che oltretutto è di competenza solo della polizia (art. 7b Legge sulla polizia) perché costituisce una limitazione grave ai diritti fondamentali della libertà di movimento (art. 10 cpv. 2 Costituzione) e della protezione della sfera privata e dei dati personali (art. 13 Costituzione). Invece l'esibizione dei documenti di identità, che nessuno è obbligato a portare appresso (sentenza Tribunale federale 109 Ia 146 consid. 4b pag. 150), è stata demandata a zelanti “securini” appostati davanti ai negozi e sono apparsi cartelli di divieto d'accesso che fanno venire in mente l'ignominia di quelli esposti dai nazisti o dai segregazionisti. E su questo aspetto uno spunto di riflessione si impone. L'art. 8 cpv. 2 della Costituzione sancisce che nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell'origine, della razza, dell'età, ecc. L’art. 261bis Codice Penale punisce la discriminazione. Il suo capoverso 6 commina la detenzione sino a 3 anni o una pena pecuniaria a chiunque rifiuti a ad una persona o ad un gruppo di persone, per la loro razza, etnia o religione, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico (cpv. 5). Il 9 febbraio di quest’anno è stata approvata in votazione popolare la modifica del disposto penale, aggiungendo l’orientamento sessuale come atto di discriminazione. Se quindi si è punibili per aver negato l'accesso al negozio a causa dell'orientamento sessuale del cliente, si dovrebbe anche esserlo a causa dell'età, che è altrettanto discriminante. Sembra paradossale e la norma penale non lo prevede, ma il diritto protetto costituzionalmente è identico.

Meditate dunque, ve lo suggerisce un discriminato che si ribella al letargo,

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