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GB: Starmer attacca Farage ma Labour sprofonda nei sondaggi

30 settembre 2025
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O noi o il diluvio. O la ricetta del "rinnovamento" graduale sbandierata da un Labour in salsa moderata o "il malcontento" strumentalizzato dalla destra "populista" del rampante Reform UK, il partito trumpiano anti-immigrazione di Nigel Farage. È il messaggio lanciato da Keir Starmer di fronte all'assemblea congressuale laburista di Liverpool, nel discorso clou di una conferenza annuale che rischia di avere per lui già i colori dell'ultima spiaggia visto lo sprofondo dei sondaggi e il subisso di malumori che lo circonda a soli 14 mesi dallo sbarco a Downing Street.

Chiamato a rianimare una base in buona parte perplessa, se non depressa dinanzi ai fallimenti economici, alle giravolte e alle esitazioni ai limiti dell'immobilismo imputate da più parti al suo governo, il 63enne primo ministro britannico non ha inseguito la carta di un carisma che non ha.

Piuttosto ha cercato d'incarnare la ragionevolezza, invocando pazienza ed equilibrio. Ma soprattutto implorando l'unità dei suoi - e puntando su ciò che il suo Labour non è, più ancora che su ciò che propone - in contrapposizione allo spauracchio Farage, presentato come il pifferaio magico del salto nel buio, come l'ex tribuno di una hard Brexit ormai impopolare, come un falso patriota che in realtà "non ama la Gran Bretagna" ma rischia di trascinarla "nel caos e nella rovina".

Incoraggiato dalla claque della nomenklatura più fedele e dei delegati mobilitati dalla macchina organizzativa, Starmer ha evocato "una battaglia per l'anima del nostro paese" e "una ricostruzione" degna del dopoguerra, che richiede tempo e scelte magari estranee alla tradizione laburista. Ha poi parlato del rilancio "della crescita" dell'economia come della missione chiave di un Labour di governo, obiettivo necessario per prevalere "sulle divisioni" predicate da Reform UK.

"Dobbiamo essere chiari sul nostro cammino di rinnovamento: un cammino lungo, difficile, che richiede decisioni non a costo zero, decisioni non sempre piacevoli per il nostro partito", ha martellato, insistendo fra l'altro sull'esigenza di contenere la spesa pubblica per non dissestare l'economia del paese - a danno in primis della stessa "classe lavoratrice" - e mettendo a tratti su un medesimo piano "le fantasie" della demagogia imputata alla destra e quelle "dell'ideologia della sinistra" radicale.

Per poi richiamare una sorta di via di mezzo - anche in risposta alle contestazioni che montano in casa dalle correnti progressiste, fino all'idea di un'ipotetica sfida futura alla sua leadership prima delle prossime elezioni che continua a circolare, malgrado i colpi di freno del critico interno numero uno, il sindaco di Manchester Andy Burnham - quale unico percorso in grado di dar vita "alla fine della strada a un paese nuovo e più giusto", ispirato "alla dignità e al rispetto", non "al declino e al razzismo".

In concreto, sir Keir - dopo aver rivendicato le sue stesse radici familiari nella working class - ha ribadito l'impegno a rimettere "sotto controllo l'immigrazione" e a "non lasciare le bandiere del patriottismo" (sventolate in sala da tutti i ministri) a Reform UK, ma combattendo al contempo "il teppismo", le violenze e l'odio verso i migranti e i diversi; ha parlato delle politiche di sicurezza e difesa come di un cardine contro "le minacce" di politica estera (citando Russia, Ucraina e Gaza); ha annunciato un ennesimo piano per la sanità pubblica (NHS), da digitalizzare con la nascita di una NHS Online entro il 2027; ha sostituito il target blairiano del 50% dei giovani iscritti all'università con quello dei due terzi a cui offrire una scelta fra gli studi superiori e un apprendistato retribuito nel mondo del lavoro manuale; e ha glissato, senza escluderle, sulle potenziali nuove tasse che tutti si attendono nella finanziaria d'autunno.

Argomenti che al momento non fermano certo l'emorragia di consensi, testimoniata proprio questa settimana da un nuovo sondaggio Ipsos che accredita il partito di Farage in ulteriore crescita, al 34%, e vede precipitare il Labour 12 punti sotto. Mentre assegna per ora a Starmer il poco invidiabile record di capo del governo più impopolare nella storia moderna dell'isola: apprezzato da appena un 13% di elettori, già condannato dal 79%.