Un leader al potere da appena 14 mesi, ma già costretto a ricorrere ad allarmi da ultima spiaggia. È l'immagine che Keir Starmer proietta di sé nella giornata di apertura della Conferenza annuale del Labour britannico a Liverpool, secondo congresso del partito di governo dopo quello seguito alle elezioni del luglio 2024 che portarono sir Keir sulla poltrona di primo ministro.
Il clima dell'assise non potrebbe essere più lontano dalla celebrazione di rito di un anno fa. Starmer si ripresenta alla base in affanno: inseguito dalle critiche rivolte al suo gabinetto per i risultati deludenti di politica economica (peggiore inflazione fra i G7, debito pubblico ai massimi storici, crescita asfittica); per i tagli allo stato sociale; per il fallimento imputato alle promesse di una linea dura in salsa laburista sull'immigrazione.
Mentre i sondaggi indicano il Labour da mesi nettamente alla spalle di Reform UK, rampante sigla della nuova destra simil-trumpiana di Nigel Farage, a livello di consensi nazionali. E gli stessi militanti - a cominciare da quelli della rossa Liverpool, da sempre ostile al moderatismo e all'opportunismo rinfacciati al premier - si rivelano in maggioranza favorevoli al "cesaricidio": auspicando un cambio di leadership prima delle elezioni politiche previste, salvo anticipi, nel 2029.
Un contesto che Starmer, scortato nella città dei Beatles e della "working class" dalla first lady Victoria, ha affrontato provando a rilanciarsi in un'intervista alla Bbc. Aggrappato all'invocazione dell'unità interna a fronte della "minaccia" di Reform. E pronto ad alzare i toni contro la retorica "trumpista" di Farage - dopo aver peraltro concesso un'inedita seconda visita di Stato nel Regno a "The Donald" in persona, accolto un paio di settimane fa con il tappeto rosso - quasi come a cercare d'impostare la prossima sfida elettorale alla stregua di una partita a due: in modo da poter rigiocare, se non altro, la carta del male minore per sperare di ribaltare i pronostici al momento del dunque.
Ecco dunque spiegato l'appello ai "comrades" (compagni ndr.) che lo criticano a smetterla di "guardarsi l'ombelico" e a serrare le file dinanzi alla "lotta decisiva del nostro tempo": quella per contendere "l'anima" della nazione ai "barbari" di Reform, che "farebbero a pezzi questo Paese". Formazione che, con i suoi piani in stile Usa di espulsione di massa di migranti certificati anche come legali sull'isola, esibisce una visione "razzista e immorale". E rispetto alla quale un Labour in crisi di consensi genuini deve apparire l'unica "alternativa" possibile: "patriottica", ma avversa a un futuro di "divisioni e declino tossici".
Concetti che Starmer riprenderà nel suo discorso al congresso nella giornata clou di martedì. Lasciando domani la tribuna alla sua ministra dell'Economia, la traballante cancelliera dello Scacchiere, Rachel Reeves, incaricata di ridar fiato a qualche promessa, nei limiti del possibile. Dall'annuncio di 12 nuovi insediamenti cittadini futuri sul terreno dell'edilizia popolare; alle prospettiva di un piano più ambizioso di visti facilitati con l'Ue per gli studenti nell'ambito del cosiddetto "reset" post Brexit; fino all'impegno già operativo della garanzia sovrana governativa su un prestito da 1,5 miliardi di sterline che una banca privata si appresta a concedere a Jaguar-Land Rover per tutelare la produzione (e i posti di lavoro) di due storici impianti automobilistici paralizzati dagli effetti d'un cyber-attacco.
Promesse che d'altronde non bastano a fermare nei sondaggi attuali Farage, chiaro favorito per Downing Street se si votasse oggi. Tanto meno a impedire a un 53% d'iscritti laburisti di dichiarare fin d'ora di averne abbastanza di sir Keir: e d'auspicarne la sostituzione con figure più credibili nei panni di anti-Nigel come quella del popolare sindaco della Greater Manchester, Andy Burnham, candidato potenziale di una futura sfida interna, che ormai ne contesta apertamente la linea da sinistra. Incurante dei tentativi del premier e della sua macchina di relazioni pubbliche, affidata al chiacchieratissimo capo di gabinetto Morgan McSweeney, orfano del New Labour di Tony Blair, di accusarlo di voler "dissestare i conti" dello Stato.