Un'accoglienza in pompa magna, degna d'un re senza corona. È ciò che Carlo III e l'establishment britannico hanno messo in scena in ossequio a Donald Trump, scarrozzato con la first lady Melania fra i bastioni del castello di Windsor per ricevere il tributo di una cerimonia di benvenuto inedita a memoria d'uomo nei confronti di un leader straniero in missione nel Regno Unito.
Senza precedenti al pari di una seconda visita di Stato sull'isola, dopo quella compiuta nel 2019, quando sul trono sedeva ancora la regina Elisabetta II, scomparsa 96enne tre anni fa.
Onore mai concesso ad alcuno in epoca moderna, ma su cui il premier laburista Keir Starmer ha fatto all in: deciso a solleticare le sensibilità e la vanità del presidente-magnate con tutta la suggestione coreografica degli sfarzi del protocollo monarchico, per cercare di tenere il grande alleato d'oltre oceano ancorato alla tradizione della cosiddetta 'special relationship' in un momento d'imprevedibilità personali e geopolitiche.
Sperando di strappare in cambio nuovi investimenti, qualche sconto in più sui dazi e almeno un'immagine di allineamento strategico sulle priorità bellico-diplomatiche di politica estera: in modo da dare un messaggio a Vladimir Putin sul conflitto russo-ucraino, se non a Benyamin Netanyahu sull'escalation israeliana senza fine nella Striscia di Gaza palestinese.
Temi peraltro tutti da definire nel vertice politico in programma prima dei saluti di domani nella residenza di campagna dei primi ministri britannici di Chequers: anche questa blindatissima e fuori Londra, come Windsor, per tenere il leader della Casa Bianca al riparo da qualsiasi contatto con la popolazione e dagli echi delle proteste di un Paese nel quale The Donald resta largamente impopolare, a dispetto degli inchini e dei tappeti rossi srotolati a profusione da chi rappresenta il potere.
Sia come sia, le premesse del ricevimento cerimoniale sono state impeccabili: orchestrate con maestria da re Carlo, sovrano 76enne in apparente buona forma nonostante le cure periodiche a cui continua a sottoporsi per tenere a bada il cancro diagnosticato a inizio 2024. Esperto come nessuno nei panni di anfitrione di quella 'soft diplomacy' affidata da sempre dai governi di Sua Maestà a casa Windsor; e pronto, con al fianco l'inseparabile regina Camilla, ad assecondare i desiderata di Starmer in nome del dovere istituzionale, pur essendogli stata a suo tempo forzata la mano, secondo i media, su un invito formale bis al debordante presidente Usa dopo il ritorno di questi in sella.
Un esercizio di stile di fronte al quale il 79enne Trump si è mostrato comunque grato. Soddisfatto di potersi esibire accanto al suo "amico" Carlo alla testa di una sfilata di carrozze reali che lo portato fino all'ingresso del castello, dopo l'arrivo in elicottero nel parco e il primo tragitto con Melania sotto la scorta dei principi di Galles, William e Kate. E ancor più compiaciuto di potere passare in rassegna davanti al monarca uno schieramento mai visto per un'occasione del genere di reparti della Royal Guard: allineati con le tradizionali giubbe rosse e gli alti colbacchi in pelo d'orso nella piazza d'armi del Quadrangle.
Non senza l'aggiunta d'una parata a cavallo di unità in alta uniforme d'epoca e della presenza di tutti e tre i reggimenti storici della guardia reale (a Emmanuel Macron, a luglio, ne erano stati concessi non più di due). Ossia le Coldstream Guards, le Grenadier Guards e le Scots Guards con banda di cornamuse in kilt al seguito. Show completato dal rito degli inni nazionali e, poche ore più tardi, da un passaggio delle Red Arrows, pattuglia acrobatica della Raf, eseguito in formato ridotto solo a causa del maltempo di una giornata grigia, piovosa e ventosa.
Di tutto il resto si riparlerà a Chequers, una volta digerito il luculliano menù del banchetto di Stato serale aperto a un ricco parterre di ospiti vip - reali e non, politici e tycoon - di entrambi i Paesi. Nell'ambito di un vertice destinato a coinvolgere, con i leader e i loro ministri, pure mega businessmen come il boss di Nvidia, Jensen Huang, o quello del gigante dell'intelligenza artificiale OpenAI, Sam Altman, nemesi di Elon Musk. In attesa di formalizzare nuove intese sulla cooperazione energetica, tecnologica e nucleare, con progetti d'investimento per decine di miliardi. E magari arrivare all'annuncio - sognato da Downing Street - di un ulteriore ritocco dell'accordo commerciale bilaterale dei mesi scorsi: fino a dazi zero sull'acciaio.