Donald Trump si è ormai rassegnato a dare carta bianca a Benjamin Netanyahu, nonostante i suoi ripetuti sforzi e appelli per un accordo che porti alla restituzione degli ostaggi e ad una tregua, nonché al ritiro di Israele da Gaza.
Il presidente è l'unico leader mondiale che ha tutte le leve per fermare o frenare Bibi ma non vuole farlo, nonostante le frequenti frizioni col premier israeliano e i sondaggi in Usa, secondo cui solo un terzo degli americani sostiene la guerra.
Il tycoon è irritato, a partire dall'attacco israeliano contro i dirigenti di Hamas in Qatar - stretto alleato Usa nel Golfo - non anticipato o comunicato tempestivamente alla Casa Bianca. Ed è preoccupato per il crescente isolamento internazionale di Israele, accusato da più parti di genocidio e sempre più inviso ai Paesi arabi (riunitisi in un vertice lunedì) con cui ha stretto o dovrebbe stringere gli accordi di Abramo e senza i quali non è possibile alcun piano postbellico per la Striscia. Per questo ha messo personalmente una toppa con Doha e spedito Marco Rubio sia da Netanyahu che dall'emiro del Qatar.
Il messaggio per Bibi è questo: gli Usa consentiranno a Israele di prendere le proprie decisioni e quindi non fermeranno l'operazione di terra a Gaza, purché sia realizzata rapidamente e termini il prima possibile. "Non è la guerra di Trump, è la guerra di Bibi e lui si assumerà tutte le responsabilità di ciò che accadrà", ha riferito un funzionario USA ad Axios. Il secondo messaggio è non colpire altri Paesi del Golfo, a partire dagli alleati Usa: raid con cui Bibi vorrebbe mettere il sigillo della supremazia di Israele nella regione.
Rubio ha ribadito garanzie in questo senso all'emiro del Qatar, spianando la strada al rafforzamento bilaterale della cooperazione militare e riconoscendo inoltre che è "l'unico Paese al mondo che potrebbe contribuire a porre fine a questa situazione attraverso un negoziato" con Hamas. Ma lo stesso segretario di Stato Usa si è detto pessimista sulle chance di un accordo, per il quale comunque restano "pochi giorni, forse settimane". Un obiettivo che peraltro contrasta con la dichiarata volontà di Netanyahu di eliminare completamente Hamas.
Trump sa anche che la prossima settimana dovrà affrontare una difficile sfida all'Assemblea Generale dell'Onu, quando diversi importanti Paesi occidentali riconosceranno la Palestina: 142 Paesi (tra cui l'Italia) hanno già votato a favore della "New York Declaration" presentata da Francia e Arabia Saudita a favore di un percorso irreversibile per uno Stato palestinese, ma senza Hamas.
Dodici Paesi si sono astenuti e solo 10 hanno votato contro, tra cui, oltre a Israele, Stati Uniti, Argentina e Ungheria. Il rischio quindi è di una contrapposizione tra Usa-Israele e resto del mondo. Ma anche in questo caso Trump non arretra. Anzi, tramite la missione di Rubio, avrebbe dato disco verde alla possibilità di un'annessione israeliana di parti della Cisgiordania occupata, in risposta all'annunciato riconoscimento dello Stato di Palestina. Anche a costo di un collasso degli Accordi di Abramo, già minacciato dagli Emirati.