Estero

Il Golfo pensa alla difesa comune, come la Nato

15 settembre 2025
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La creazione di una Nato inter-araba come "meccanismo di difesa congiunto" di fronte alle "aggressioni israeliane" è stata evocata sulle sponde arabe del Golfo dove si è riunito il tanto atteso vertice straordinario della Lega Araba e dell'Organizzazione islamica mondiale a seguito dell'attacco di Israele contro una sede di Hamas a Doha.

Proprio nella capitale del ricco e influente emirato del Golfo, che ospita la principale base aerea americana nella regione e che è uno dei maggiori esportatori di gas naturale al mondo, sono accorsi oggi decine di leader di tutto il mondo arabo-islamico.

Accanto al premier del Qatar, Muhammad Al Thani, si sono schierati quasi tutti, amici e nemici di Israele, in rappresentanza dei paesi dall'Oceano atlantico all'Oceano indiano: dal presidente turco Tayyip Recep Erdogan al capo di Stato iraniano, Masoud Pezeshkian, dall'egiziano Abdel Fattah Sisi al leader saudita Muhammad ben Salman, dal presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), ai leader di Marocco, Libano, Siria, Emirati Arabi Uniti, Iraq e molti altri.

Proprio il premier iracheno, Muhammad Sudani, ha per primo messo sul tavolo la proposta di una difesa congiunta sul modello dell'Alleanza atlantica da opporre a Israele: "Un attacco nemico equivale a un'aggressione contro tutti noi serve una risposta di sicurezza collettiva alla maniera della Nato", ha detto.

Alla fine del vertice i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), che riunisce i sei paesi arabi della regione, si sono dati appuntamento per un'altra riunione che valuti la possibilità di attivare un "meccanismo di difesa congiunto". Oltre a esprimere la "condanna" dell'attacco israeliano e la "piena solidarietà" col Qatar, i leader non hanno escluso l'invito a "tutti gli Stati ad adottare tutte le possibili misure legali ed efficaci per impedire a Israele di continuare le sue azioni contro il popolo palestinese, anche rivedendo le relazioni diplomatiche ed economiche con esso e avviando procedimenti legali contro di esso".

Un riferimento agli accordi di pace con lo Stato ebraico conclusi negli anni, sempre sotto l'egida degli Stati Uniti, da Egitto (1978), Giordania (1994), Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan (2020), Marocco (2021). Osservatori a Doha affermano che sarà difficile passare dalla parole ai fatti, perché sono troppi e troppo profondi gli interessi che i vari paesi hanno nel mantenersi dentro all'alleanza americana.

Anche il Qatar, da tempo mediatore tra Hamas e Israele ma colpito al cuore nell'attacco del 9 settembre scorso, sembra ora determinato a seguire la linea dura. Senza però distanziarsi troppo dal suo padrino americano. Il leader del Qatar, che due giorni fa era a Washington, dal pulpito di Doha ha tuonato contro Israele: "Chi lavora con persistenza e metodo per assassinare la parte con cui sta negoziando, intende far fallire le negoziazioni le negoziazioni, per lui, non sono che una parte della guerra".

Dal canto suo, il turco Erdogan, che da anni alza i toni contro Israele senza in realtà mai agire contro la politica del governo di Benjamin Netanyahu, ha invitato tutti i paesi arabo-islamici a un maggior coordinamento "per poter esercitare maggiori pressioni su Israele", accusandolo di "destabilizzare la regione".