Estero

CEDU, Italia non responsabile per violenze dei libici a migranti

12 giugno 2025
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La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha dichiarato irricevibile il ricorso contro l'Italia di alcuni migranti che la ritengono responsabile delle morti dei loro figli e dei maltrattamenti che hanno subito durante un'operazione di salvataggio condotta dalla nave libica Ras Jadir il 6 novembre 2017.

I giudici di Strasburgo hanno stabilito che in questo caso particolare l'Italia non può essere ritenuta responsabile di aver violato la Convenzione europea dei diritti dell'uomo perché i fatti si sono svolti in acque internazionali su cui il paese non esercita un controllo effettivo e Roma non aveva alcun potere sulla nave libica. Quindi, spiegano i togati, mancano gli elementi che la CEDU considera come determinanti per stabilire che uno Stato ha giurisdizione, e quindi responsabilità, sull'accaduto.

Allo stesso tempo nella sentenza si evidenzia che sebbene le condizioni per concludere che lo Stato abbia esercitato una giurisdizione extraterritoriale in base alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo non siano soddisfatte in questo caso, la situazione esaminata rimane disciplinata da altre norme di diritto internazionale, in particolare quelle relative all'assistenza alle persone in mare, alla protezione dei rifugiati e alla responsabilità dello Stato.

I fatti di cui la CEDU si è occupata risalgono al 6 novembre del 2017. I migranti che hanno fatto ricorso erano su un'imbarcazione con circa altre 150 persone. Quando questa ha iniziato ad affondare, a 33 miglia marine a nord di Tripoli, hanno contattato il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma, che a sua volta ha immediatamente inviato un messaggio chiedendo a tutte le imbarcazioni nelle vicinanze di intervenire. Roma ha inoltre informato i libici chiedendo di coordinare le operazioni, perché secondo il governo, la zona dove era l'imbarcazione era sotto la giurisdizione della Libia.

La nave libica Ras Jadir è la prima a raggiungere l'imbarcazione. Poco dopo arriva anche la Sea Watch 3, e in seguito una nave militare francese e un elicottero della marina militare italiana. In base al racconto dei migranti le manovre della nave libica hanno causato un movimento d'acqua che avrebbe sbalzato diverse persone in mare causandone la morte. Inoltre affermano che l'equipaggio del Ras Jadir non ha fornito giubbotti di salvataggio e ha colpito le persone in mare minacciandole anche con le armi.

Nel frattempo la Sea Watch 3 cala in acqua due scialuppe e riesce a issare a bordo diverse persone e a recuperare i corpi dei morti. Altri migranti in un primo tempo a bordo del Ras Jadir riescono a fuggire e raggiungono la nave dell'organizzazione non governativa. Infine alcuni di loro, assieme ad altre 45 persone, restano sulla nave libica dove dicono di essere stati picchiati, per poi essere inviati in un campo di detenzione a Tajura, in Libia, dove avrebbero subito maltrattamenti e violenze. Saranno in seguito rinviati nel loro paese, la Nigeria.

Nel ricorso i migranti sostengono che il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma li ha messi a rischio di maltrattamenti e di morte, permettendo a una nave libica di prendere il controllo delle operazioni di soccorso. Affermano anche che l'Italia, con il consenso dell'Unione europea, ha istituito una pratica di "respingimento per procura", mettendo così migliaia di migranti a rischio di trattamenti inumani e degradanti.

Infine, dicono che il supporto finanziario e logistico fornito dall'Italia alla Libia nella gestione dell'immigrazione chiama in causa direttamente le responsabilità di Roma, e quindi la sua "giurisdizione" sull'accaduto, una tesi, quest'ultima, che la CEDU ha rigettato.