Scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina, ma il Cremlino frena sui negoziati di pace
"Poco realistiche": così il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha liquidato le ipotesi su una prosecuzione dei negoziati diretti tra Mosca e Kiev in Vaticano, mentre l'Ucraina fa sapere che la Svizzera ha manifestato "la propria disponibilità" ad ospitare i colloqui.
Intanto, russi e ucraini hanno avviato il più grande scambio di prigionieri dall'inizio del conflitto, mille per mille. L'unico risultato concreto raggiunto nelle trattative bilaterali a Istanbul del 16 maggio.
Lavrov ha motivato il rifiuto ad accettare i negoziati presso la Santa Sede giudicando "inelegante" che nel cuore del cattolicesimo si trovino a discutere i rappresentanti di Paesi ortodossi, anche su una questione di carattere religioso che secondo il ministro degli Esteri russo è tra le "questioni di principio" che contribuiscono all'ostilità reciproca, in società dove l'elemento confessionale assume connotazioni politiche rilevanti.
Vale a dire quello che lo stesso Lavrov ha condannato come "il percorso di distruzione della Chiesa ortodossa ucraina" vicina al Patriarcato di Mosca, guardata con sospetto dalle autorità ucraine come possibile quinta colonna russa.
Kiev punta sulla Svizzera come sede alternativa. La Confederazione "ha confermato la propria disponibilità a ospitare anche futuri incontri volti a raggiungere una soluzione pacifica", ha scritto su Telegram il capo dell'Ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak, dopo un colloquio con l'inviato speciale del Consiglio federale per gli Stati Uniti, Gabriel Lüchinger.
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha confermato all'agenzia Keystone-ATS la conversazione telefonica tra l'ambasciatore Lüchinger e Yermak. Secondo il DFAE, la Svizzera persegue una politica di dialogo con tutte le parti. È pronta a offrire i suoi buoni uffici per sostenere un vero processo di pace tra Russia e Ucraina.
"Continuiamo a lavorare", ha concluso il capo di gabinetto di Volodymyr Zelensky. Ma dal Cremlino non arriva alcuna conferma: "Non c'è ancora una decisione o un accordo sulla prossima piattaforma negoziale" e "questa decisione non può essere presa da una sola parte" ma "richiede il consenso di entrambe", ha avvertito il portavoce Dmitry Peskov.
Anche sulla tempistica dei negoziati Mosca tira il freno. Lavrov ha infatti puntualizzato che la Russia invierà all'Ucraina le sue condizioni per un accordo di pace solo quando "lo scambio di prigionieri di guerra sarà completato". Allora sarà resa nota "la bozza del documento che la parte russa sta attualmente finalizzando".
Le operazioni per il rilascio dei prigionieri sono cominciate oggi con lo scambio di 270 militari e 120 civili per parte. I restanti dovrebbero essere consegnati nei prossimi giorni, hanno detto i russi. Zelensky ha confermato che le liberazioni proseguiranno nel fine settimana. "Stiamo riportando a casa la nostra gente", ha scritto su Telegram il presidente ucraino. Mentre dalla Casa Bianca Donald Trump ha plaudito all'attuazione dell'accordo di Istanbul esprimendo le sue "congratulazioni a entrambe le parti di questo negoziato".
"Questo potrebbe portare a qualcosa di grosso?", si chiede il presidente Usa. Un commento lontano sia dall'ottimismo sia dalla frustrazione mostrati in altri momenti, ma nella speranza più equilibrata che questo primo piccolo passo apra la difficile strada delle trattative verso la pace.
Sul terreno, tuttavia, le forze russe hanno continuato la loro lenta avanzata, rivendicando la conquista di un altro villaggio nella regione nord-orientale ucraina di Kharkiv. Quella che, insieme a Sumy, potrebbe essere presa di mira dai russi per la creazione della "zona cuscinetto di sicurezza" annunciata dal presidente Vladimir Putin. E intanto la Russia continua ad essere bersaglio delle ondate dei drone kamikaze ucraini. Centinaia di velivoli senza pilota sono stati intercettati negli ultimi tre giorni dalle difese antiaeree sul territorio della Federazione, di cui oltre 90 sulla regione di Mosca.