Discussioni su tregua e demilitarizzazione, mentre continuano i raid che fanno altre decine di vittime nella Striscia
Ci sono "progressi" nel negoziato indiretto tra il movimento islamista al potere a Gaza, Hamas, e Israele per porre fine alla guerra nell'enclave palestinese, che continua a mietere vittime nonostante gli appelli alla de-escalation che arrivano dalla comunità internazionale, preoccupata anche per la situazione in Libano, dove l'esercito israeliano (Idf) è tornato a bombardare i sobborghi meridionali di Beirut per colpire l'organizzazione paramilitare islamista sciita e antisionista Hezbollah, la terza volta dalla fragile tregua di fine novembre.
"È stato colpito un deposito di missili", afferma l'Idf, mentre il presidente libanese Joseph Aoun è tornato a chiedere l'intervento di USA e Francia, "garanti della tregua", per fermare i raid.
"Giovedì abbiamo visto qualche progresso rispetto ad altri incontri, ma dobbiamo trovare una risposta alla domanda fondamentale: come porre fine a questa guerra, questo è il punto chiave dell'intero negoziato", ha detto il premier del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. Il riferimento è all'incontro, non ufficializzato, che avrebbe avuto luogo proprio giovedì scorso con il capo del Mossad (il servizio segreto israeliano focalizzato sulle operazioni all'estero) David Barnea, a Doha.
Nelle ultime ore il movimento integralista palestinese, nel corso di incontri con i mediatori egiziani al Cairo, ha messo sul piatto una sua proposta, che prevede cinque anni di tregua in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza- 59 tra vivi e morti - e della liberazione di un certo numero di prigionieri palestinesi.
Sullo sfondo però si muove ben altro: Hamas "è più disposta ad accettare un accordo che vada oltre un cessate il fuoco", ha detto il ministro degli esteri turco, Hakan Fidan, parlando nella conferenza stampa congiunta con al Thani. Secondo i media arabi, il gruppo ha accettato di discutere della demilitarizzazione della Striscia, che passa dalla nascita di un governo tecnico indicato da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita nonché dall'uscita da Gaza della leadership rimanente e delle forze speciali dell'organizzazione. Il no al disarmo totale, una delle richieste israeliane, verrebbe mutuato nell'integrazione di alcune unità in una non meglio precisata "forza di polizia palestinese".
Secondo il quotidiano gratuito Israel Hayom, uno tra i più diffusi nello Stato ebraico, anche dagli USA confermano "progressi nei negoziati". Una fonte diplomatica citata in forma anonima sostiene che l'accelerazione nei colloqui è dovuta all'input del presidente Donald Trump, in vista della missione mediorientale di metà maggio.
"Questa visita è drammatica per l'Arabia Saudita, Israele e l'intera regione. Porre fine alla guerra o almeno raggiungere un cessate il fuoco è una condizione cruciale per il suo successo", si afferma. L'inquilino della Casa Bianca ha annunciato che sarà in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti dal 13 al 16 maggio. E, di fronte alla crescente crisi umanitaria a Gaza, ha rivelato ai giornalisti a bordo dell'Air Force One (il nome radio dell'aereo dell'aviazione militare statunitense che trasporta il presidente degli Stati Uniti) diretto in Italia per i funerali del papa, di aver detto al premier israeliano Benyamin Netanyahu che "dobbiamo essere buoni con Gaza, quella gente sta soffrendo", perché "c'è un enorme bisogno di cibo e medicinali, e ce ne stiamo occupando".
Nel frattempo però si continua a morire: il bilancio delle ultime 24 ore segna ulteriori 50 morti nella Striscia, dove un raid israeliano "sulle tende degli sfollati" a Hamad City, nel governatorato di Khan Yunis, ha causato almeno otto vittime, tra le quali tre bambini e una donna, ha riferito il corrispondente dell'agenzia di stampa ufficiale dell'Autorità nazionale palestinese Wafa sul posto. L'esercito israeliano "continua a demolire case a Rafah e nella zona orientale di Gaza City", e gli attacchi "sono impennati nelle ultime ore".